Formazione
Il pericolo della scuola post covid? Omologare le competenze e non premiare la qualità
Il problema è che molte insegnanti della vecchia guardia applicano una metodologia che si scontra con una società che ormai predilige non più le conoscenze, ma le competenze. E, partendo l’istruzione da un gap di competenze in ambito digitale, l’effetto è a catena su tutto il mondo dell’istruzione, si rischia una sorta di tsunami: È la conseguenza di una conoscenza troppo pulviscolare, tipica della ricerca su Google con cui stiamo crescendo le nuove generazioni". L'inchiesta
"Non vi funziona il microfono, non sento niente!". È solo uno dei tanti problemi che insegnanti di età, provenienza e formazione diverse affrontano nell’Italia da pandemia, alle prese con una normale lezione a distanza. Disattivare o attivare l’audio di una chat per i Millennials è cosa da niente, ma la verità è che solo il 21% della popolazione italiana ha un livello di alfabetizzazione digitale sufficiente. La situazione illustrata dall’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (Desi), mostra infatti un’Italia al 24° posto su 28 paesi europei. Un’attenuante è anche il gap generazionale dei docenti, con un’età media di 49 anni, mentre negli altri paesi OCSE è 44 anni. Secondo l’ultimo rapporto OCSE, l’Italia è poi il Paese in cui le insegnanti chiedono più aggiornamenti sulla formazione digitale (circa 75.2%, la media è 58.3%). Sono tutti elementi che definiscono la qualità dell’istruzione italiana.
Ecco perché a P., insegnante di scuola primaria da oltre 30 anni, la didattica a distanza ha complicato il lavoro: con i genitori, prima di tutto, ma anche nell’allineamento didattico con le colleghe e nel cercare di far coincidere il più possibile il volere della dirigente scolastica alle aspettative di famiglie e studenti. Il mondo dell’istruzione ristagna da decenni ma, iniziato il lockdown, ha cominciato tutt’a un tratto ad agitarsi, chiedendo alle insegnanti di colmare con un solo balzo anni di tagli all’istruzione, di provvedere da sole all’aggiornamento professionale e di reinventare il proprio lavoro, rivoluzionato dall’emergenza.
È su di loro, piccole api operaie della cultura italiana, che pesa la formazione delle generazioni future. Ed è sempre sulle spalle degli insegnanti che è addossata la responsabilità di far quadrare le cose, barcamenandosi fra le informazioni sommarie delle circolari, i programmi didattici in modalità online, utenti che infrangono le classroom e genitori che fanno i compiti al posto dei figli. Il tutto senza linee guida precise.
Perché la verità è che mentre la ministra dell’Istruzione Azzolina lodava l’impegno dei docenti italiani, paragonandoli a “eroi anonimi”, molti aspetti del loro lavoro sono ancora incerti. Questioni fondamentali per il mondo dell’istruzione, che il corpo docente sta affrontando senza un vero e proprio coordinamento dall’alto. Ed è un silenzio che la gratitudine non può colmare.
L’abc della scuola italiana ai tempi del Covid-19
La pandemia è il periodo in cui più si sta bistrattando l’insegnamento, in modo inconsapevole e non. Se il distanziamento sociale preserva la salute, il contatto umano è fondamentale con gli studenti, perché li aiuta a riconoscere l’autorevolezza del docente, che potrà così formarli negli anni e intraprendere con loro un percorso di crescita.
Per questo, spesso, si tende a confondere il ruolo dell’insegnante con quello del genitore. A tanti sarà capitato di chiamare “mamma” la propria maestra, il problema è quando invece sono i genitori a non capire la differenza tra le due figure. "Stavo spiegando in aula virtuale – sostiene P. – uno dei bambini si dimenava con la telecamera accesa e ho chiesto di stare fermo, perché mi distraeva dalla spiegazione". È un rimprovero che, in classe, sarebbe normale. In un mondo di leoni da tastiera, si confonde invece il richiamo alla disciplina con l’aggressione. "Poco dopo una mamma, sentito che riprendevo il figlio – prosegue P. – ha pensato di intervenire davanti agli altri alunni e polemizzare". Sono situazioni all’ordine del giorno per tanti insegnanti, alle prese con genitori e figli saputelli, il problema è che sono costretti così al doppio del lavoro: istruire i bambini, ma gestire anche tutti quegli adulti che non sanno relazionarsi in una società iperconnessa, dove oggi l’etichetta è tale e quale a quella del mondo reale. Anche questo è frutto di analfabetismo digitale.
L’emarginazione virtuale
Per quanto connessi tutti da smartphone, solo il 38% delle famiglie italiane ha avuto accesso a un computer nell’ultimo biennio, il 14% se con un figlio a carico. Al Sud la situazione è ancora più drammatica: il 41,6% delle famiglie non possiede un computer, contro la media del 30% nel resto d’Italia. Il problema per il mondo dell’istruzione, con queste premesse, è tanto culturale quanto materiale. Sono 470mila i ragazzi tra i 6 e i 17 anni che non hanno accesso a nessuno tipo di device, computer o tablet. Nel meridione corrispondono al 20% della popolazione. In mancanza di un’educazione al digitale e di supporti fisici con cui svolgerla, la didattica a distanza ha messo in luce anche l’impreparazione delle stesse famiglie, complicando ancor più il ruolo dell’istruzione. Con la frustrazione per molti docenti di dover essere corretti nel proprio lavoro da gente che ha perso il rispetto per le istituzioni. Di fatto gli insegnanti, sia come impiegati statali sia nell’assicurare uno dei diritti universali, lo sono. "Che senso ha se quando correggo i compiti dei bambini, sono tutti perfetti? – confida P. – Che senso ha collegarmi ogni giorno con gli alunni, impegnare il mio tempo a interrogarli, se sento chiaramente i genitori che suggeriscono le risposte". E più si va avanti negli anni, più si pone una distanza fra gli studenti e il loro futuro. Una responsabilità che non è solo di chi li forma, ma anche di chi ancora non comprende gli spazi che stiamo vivendo, di chi non ha capito che il digitale non è un mondo a parte, ma estensione tecnologica della realtà.
L’istruzione multitasking
Oltre al lato umano, molti sono i problemi della scuola italiana sul fronte organizzativo. Il Miur in questi mesi non ha fornito dei quadri di riferimento precisi per il normale proseguimento delle lezioni. È stato un vero e proprio fulmine a ciel sereno. Un terremoto istituzionale che ha messo a nudo l’arretratezza della scuola italiana – racconta G. , docente di storia presso una scuola media romana – Fin dal primo giorno siamo stati inondati da circolari dal tono sbrigativo, in cui ci si avvisava che la didattica sarebbe continuata e che ci saremmo dovuti adattare all’emergenza". Come, è a discrezione del corpo insegnanti: non sono state diramate delle regole precise su come impostare le classroom per esempio, non sono state indicate delle piattaforme più valide delle altre, tant’è che ogni istituto scolastico si è organizzato per conto proprio, con le famiglie pronte a controbattere per ogni decisione e appesantire i livelli di stress. In mancanza di vere e proprie competenze digitali, le soluzioni che sembrano più efficienti per un insegnante 60enne possono essere tremendamente arretrate invece per un 12enne.
"C’è stato chi ha aperto chat con gli alunni, chi ha impiegato la propria mail per restare in contatto, chi ha adottato sistemi già usati in altre regioni". Un altro problema riguarda poi la connessione e l’accessibilità ai device. Sembrerà assurdo, ma nel 2020 il 23,9% delle famiglie italiane non ancora ha accesso a Internet. Il rischio è l’emarginazione per le fasce più deboli della popolazione o, nel peggiore dei casi, la rinuncia all’istruzione dei propri figli. In altri casi, pc e tablet sono condivisi, così come gli spazi, compromettendo le lezioni. Più di un quarto degli italiani vivono in condizioni di sovraffollamento abitativo e i minori che si adeguano a questa realtà sono il 41,9%. È anche vero l’opposto, che siano gli insegnanti a non riuscire a insegnare, visto che "le nostre connessioni internet sono domestiche – afferma G. – non sufficienti a tenere collegate in video-lezione 25 persone in contemporanea".
Così aumenta anche il lavoro per molti docenti che, oltre alle lezioni online, devono raggiungere lo studente più in difficoltà là dove non arriva il Ministero dell’Istruzione, provvedendo con registrazioni o con lezioni in differita che forniscano un’istruzione a tutti, indipendentemente dalla pandemia.
Barlumi di speranza
Più crescono gli studenti, più i problemi sedimentati a livello culturale e metodologico, aggravano l’istruzione. Le ripercussioni saranno però macrosistemiche per tutti gli studenti che, dai banchi di scuola, si affacceranno al mondo del lavoro. È tempo di fare i conti anche per la scuola superiore, là dove gli alunni dovrebbero sviluppare pensiero critico e competenze. Quali, visto le falle che la scuola tenta di colmare da anni?
Grazie al Decreto Cura Italia, si apre un barlume di speranza. La scuola sarà finalmente irrorata di fondi, pensati per il potenziamento della didattica a distanza, ma che potranno colmare molte di quelle inefficienze che, solo pochi mesi fa, spinsero l’ex ministro Fioramonti a dimettersi. Circa 85 milioni ripartiti tra piattaforme e strumenti digitali (10 milioni), destinati a sussidi per garantire la collettività di rete anche ai meno abbienti (70 milioni) e ben 5 milioni per la formazione del personale didattico.Saranno sufficienti a coprire la metamorfosi dell’insegnamento però? Basteranno per l’emergenza nel lungo periodo? È ormai chiaro che a settembre inizierà un nuovo capitolo per la scuola italiana, soprattutto quella che più deve plasmare la forma mentis dei giovani.
"Stiamo pensando a una metodologia mista, che comprenda sia didattica online sia fisica, chiaramente nel rispetto delle misure di sicurezza", racconta C, giovane insegnante di Lettere presso una scuola secondaria della provincia di Roma. I suoi ragazzi hanno altre problematiche da affrontare, in primis l’esame di Stato, previsto per il 17 giugno. L’emergenza ha cambiato completamente le modalità, per la gioia degli studenti e la disgrazia degli insegnanti: ora prevedono un maxiorale di 1 ora, probabilmente in presenza, una prova one shot in cui il candidato affronterà il programma degli ultimi anni e un breve sunto dell’alternanza scuola-lavoro. All’effettivo, anche in questo caso il Miur non ha indicato delle vere e proprie griglie valutative, affidandosi totalmente ai docenti. Il decreto scuola e l’Ordinanza Ministeriale n. 6079 del 18 aprile 2020 prevedono infatti che i presidenti di commissione siano nominati dagli Uffici scolastici regionali, i commissari dai consigli di classe.
Tana libera tutti?
A C. quest’anno spetta essere membro di commissione interna, ma non nasconde i suoi dubbi: "Concretamente sappiamo che sarà una tana libera tutti, con grande frustrazione dei docenti che hanno accompagnato i propri ragazzi e li hanno visti crescere, sviluppare un pensiero critico, interessarsi con curiosità". Il dispiacere maggiore è assecondare un sistema che omologa le competenze e non premia la qualità. "Vogliamo che quei ragazzi siano brillanti anche fuori scuola e portino a casa il loro percorso – racconta C. – il rischio è che così siano uniformati con una sola prova a tutti quelli che non hanno fatto il loro dovere negli anni, tutto questo gli sarà condonato". L’impreparazione della scuola italiana trascinerà, giù con sé, anche molti di questi ragazzi decretando il loro futuro. La mancanza di un metodo, di una supervisione sulla loro reale preparazione, farà il resto: "Uno schermo non permette di contare gli assenti, non posso mettere valutazioni oggettive in questo momento, anche perché il mio registro elettronico fino a ora ha sempre riportato i voti numerici. Come sintetizzare le due cose?", lamenta C.
Per quanto riguarda la didattica online, se gli studenti più grandi riescono a districarsi con la piattaforma, la svalutazione dell’insegnante, un fenomeno che inizia alle elementari, trova piena conferma quando quei bambini diventano adolescenti. Così, il codice delle stanze virtuali è condiviso dagli studenti anche con esterni, che sistematicamente entrano durante le lezioni o nelle classi primarie. "Per arginare il problema abbiamo fatto intervenire anche la Polizia postale e inserito un’impostazione in piattaforma che impediva agli studenti, una volta entrati nella classroom, di uscire".
Sono le peripezie richieste agli insegnanti, li stessi sviliti nel proprio ruolo e giudicati incompetenti. Gli stessi che attingono da una rara capacità funzionale ai problemi delle classi. Il prezzo è dover mettere spesso in discussione la propria cultura, chiave del sapere e della professionalità. "L’insegnamento è un mestiere profondamente situazionale, in cui qualità e quantità sono concetti astratti – confessa C. – come insegnante ci è richiesta la capacità di sintetizzare una serie di aspetti che portano al giudizio, ma non sempre i genitori lo capiscono e sono più concentrati al voto che al lavoro dietro agli studenti".
Il problema è che molte insegnanti della vecchia guardia applicano una metodologia che si scontra con una società che ormai predilige non più le conoscenze, ma le competenze. E, partendo l’istruzione da un gap di competenze in ambito digitale, l’effetto è a catena su tutto il mondo dell’istruzione. Uno tsunami eterno.
Lo stesso Andreas Schleicher, a capo del programma indicatori Ocse dei sistemi educativi, sostiene che a cavarsela meglio saranno i sistemi scolastici in cui i bambini sono abituati a lavorare in modo autonomo.
I bambini italiani invece, che crediamo dipendenti tecnologici, mostrano già difficoltà nel problem solving e nell’utilizzo più blando delle tecnologie: il semplice allegare un file in mail, comporre un testo sulla tastiera di un computer o impaginarlo, raccontano gli insegnanti interpellati. "È la conseguenza di una conoscenza troppo pulviscolare, tipica della ricerca su Google con cui stiamo crescendo le nuove generazioni. Quando si tratta di chiedere loro di uscire fuori dalle righe, di esprimere un concetto che attinga da contenuti personali, emerge una profonda fragilità, spesso accresciuta dai genitori, ma anche dalla mancanza di una formazione che nessuno restituirà più loro".
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