A vantaggio del singolo e del gruppo

Il perdono e la riconoscenza sono funzionali alla sopravvivenza

Le origini evolutive e le basi neurobiologiche di queste strategie spiegano perché promuovono il benessere fisico e mentale e sono la scelta più conveniente per l’individuo che la compie

di Nicla Panciera

Coltivare l’ottimismo, la gratitudine e il perdono incide a tal punto sulla nostra salute da regalare dei benefici al cuore, riducendo la pressione arteriosa. Lo mostra uno studio non ancora pubblicato e presentato al congresso annuale dell’American college of cardiology che ha misurato alcuni parametri, come il valore della pressione arteriosa, in un centinaio di soggetti in trattamento per ipertensione. Le misurazioni sono state effettuate prima e dopo un periodo di 12 settimane durante le quali ai pazienti venivano inviati quotidianamente sul telefono cellulare dei brevi messaggi e dei video che incoraggiavano a fermarsi a riflettere e a concentrarsi su determinati concetti come la gratitudine o il perdono.

Un’efficacia notevole

Questi inviti a coltivare le spiritualità in senso ampio, definita come valori morali e personali che guidano la nostra vita e le relazioni con gli altri, ha portato a una riduzione dei valori pressori di 7 mmHG, un calo che «rappresenta una riduzione maggiore di quella osservata con altri interventi non farmacologici e potrebbe persino superare le prestazioni di alcuni farmaci» ha commentato l’autrice principale dello studio Maria Emília Teixeira, cardiologa dell’ipertensione della Facoltà di Medicina dell’Università Federale di Goiás in Brasile e autrice principale dello studio.

Ripristinare l’omeostasi

Pietro Pietrini

Risultati che non stupiscono il neuroscienziato Pietro Pietrini della Scuola IMT Alti Studi Lucca, pioniere degli studi di neurobiologia del perdono, condotti già alla fine degli anni Novanta ai National Health Institutes Nih americani a Bethesda, dove ha cominciato a studiare il conflitto e l’aggressività e la loro risoluzione. «Il perdono è un efficace meccanismo di ripristino dell’omeostasi e di superamento di situazioni di stallo cognitivo e grande stress psico-fisico»

«L’aumento del battito cardiaco, della frequenza respiratoria e della secrezione degli ormoni dello stress sono risposte fondamentali in ottica evolutiva per preparare l’organismo al combattimento o alla fuga. Quando persistono a lungo, però, logorano l’organismo e lo danneggiano» ci spiega Pietrini. «Il perdono è una strategia che ci permette di aggirare, bloccandolo, questo meccanismo dannoso per la salute».

La neurobiologia del perdono e le sue origini evolutive

Già negli anni Sessanta, gli studi mostravano una perdita neurale nell’ippocampo dei topolini stressati, con l’avvento della risonanza magnetica si è potuto registrare lo stesso fenomeno nell’uomo. «Non si tratta solo di stati mentali: il permanere di un conflitto determina stati fisiologici che cessano solo con la sua risoluzione» dice il neurobiologo. Ecco che studiandone le basi neurochimiche, la scienza mostra che il perdono è un meccanismo utile per il benessere di chi lo compie. Di più: «Gli studi sulla risoluzione di diatribe, che coinvolgono anche lesioni fisiche, suggeriscono che il perdono potrebbe essersi evoluto come una risposta vantaggiosa che promuove la sopravvivenza umana» scrive Pietrini in uno studio sulla neuroanatomia funzionale del perdono. Da cui emerge che il perdono, anche in seguito a una situazione dolorosa, coinvolge aree cerebrali prefrontali e del cingolo anteriore, parti di una rete deputate alla regolazione delle emozioni con un effetto quindi di ri-equilibrio dello stato emotivo.  Negli stessi anni, anche la primatologia stava volgendo lo sguardo verso la risoluzione dei conflitti e la riconciliazione, negletta fino ad allora in favore della più gettonata aggressività e conflittualità di alcuni primati. Ad aver introdotto questa nuova prospettiva è stato il primatologo Frans de Waal, scomparso il 24 marzo scorso, autore di numerosi saggi, tra cui «Far pace tra scimmie. Aggressività, riconciliazione, perdono: le basi biologiche del comportamento umano», in cui delinea la riconciliazione e la risoluzione dei conflitti come una strategia evolutiva per il mantenimento della coesione del gruppo, per ricucire e rafforzare le relazioni minate dal diverbio, e di riduzione dello stress non solo nei belligeranti ma anche nei presenti, che accorrono per dare supporto e conforto ai compagni.

La scelta più conveniente

Va specificato che per noi esseri umani, non essendo (almeno in teoria) tollerabile un’aggressione fisica, nella maggior parte dei casi la scelta è tra il permanere delle tensioni e il perdono. Oggi massimo esperto di menti criminali, Pietrini stesso è arrivato allo studio del perdono analizzando i correlati neurali dell’aggressività quando si è impossibilitati ad agire. Ebbene, il lavoro, che si è guadagnato la copertina dell’American Journal of Psichiatry, mostra che anche solo immaginare una reazione aggressiva fa scattare dei meccanismi che coinvolgono larghe porzioni del nostro cervello. «Ma quale atto di clemenza, il perdono è la scelta più conveniente per l’individuo che la compie» riassume Pietrini.

Meditazione, gratitudine and co.

Un quarto di secolo dopo, non solo tutto questo è dato ormai per acquisito, ma al perdono si sono aggiunte altre strategie, come la meditazione e la pratica della gratitudine, che impegnano meccanismi cognitivi oggetti di numerosi studi. «Stiamo scoprendo i correlati neurobiologici di pratiche note da millenni al mondo orientale, capaci di ridurre ansia e stress e ripristinare l’equilibrio dei meccanismi neurofisiologici visti» commenta Pietrini, autore di uno studio con Giulia Avvenuti sulla meditazione, associata a specifici cambiamenti nel cervello, in particolare in strutture importanti per la modulazione dell’equilibrio emotivo-affettivo. «Mettersi il conflitto alle spalle è una strategia cognitiva vincente. Non dobbiamo dimenticare che la percezione soggettiva di star bene è associata a un correlato fisiologico di reale benessere del nostro corpo» chiarisce Pietrini. «Analoghi meccanismi sono in gioco quando compiamo atti di gratitudine e di generosità, che gratificano e fanno stare bene più chi li compie che coloro ai quali sono rivolti».

Perché optare per un accordo

La situazione di stallo dovuta alla mancanza di una via di fuga o di una risoluzione è, a lungo andare, molto dannosa per la nostra salute. Non si può non pensare, qui, ai dissidi legati all’eredità, anni e anni di diatribe legali senza senso: «L’istituto della mediazione non va vissuto non come inutile passaggio obbligatorio per andare a processo, ma andrevve affrontato con la giusta consapevolezza che stiamo governando un procedimento invece di subirlo. Così, optando per un accordo risparmieremmo anni di battaglie legali costose e nocive per la salute» commenta Pietrini, che ha seguito cause civili lunghe degli anni su questioni patrimoniali in cui i contendenti vivono proprio quella logorante situazione di stallo. Che fare? «Ragionare, valutare il costo di un muro contro muro, arrivare preparati e non stravolti dopo una giornata di lavoro, con le capacità decisionali pressoché esaurite, dalla stanchezza mentale, il cosiddetto ego depletion». Sotterrare l’ascia di guerra è, spesso, la soluzione migliore.

Foto di Toa Heftiba su Unsplash

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