Calcio&Azzardo

Il pensiero magico e onnipotente dei calciatori malati di azzardo

Cosa spinge ragazzi ricchi e talentuosi come Tonali e Fagioli a perdersi nel limbo delle scommesse illegali? I giocatori compulsivi sono attratti più dall’idea della fuga, della sfida, del pensiero onnipotente, che dallo strumento alla base del gioco quale è il denaro; il denaro è un mezzo, un ingrediente necessario ma non il fine ultimo

di Chiara Pracucci e Enrico Paci

Il Gioco d’Azzardo Patologico (Gap), spesso e volentieri impropriamente definito “ludopatia”, è un disturbo del comportamento che rientra nell’area delle cosiddette “dipendenze senza sostanze“. Si tratta di una vera e propria piaga della società moderna ed è parificato alle forme di dipendenza che implicano l’utilizzo di sostanze quali ad esempio droghe, alcol, tabacco e farmaci.

Nelle ultime settimane il tema della dipendenza dal gioco è salito agli onori delle cronache a seguito del coinvolgimento di alcuni calciatori in un giro di scommesse su cui le autorità competenti stanno indagando al fine di individuare eventuali responsabilità e illeciti. Partendo dal presupposto che qualsiasi forma di gioco illegale configura un reato, ai calciatori è fatto espressamente divieto di effettuare scommesse sul calcio; l’infrazione di tale divieto comporta la violazione dell’ormai famigerato articolo 24 del codice di giustizia sportiva che prevede una squalifica non inferiore a tre anni (ed un’ammenda non inferiore a 25mila euro) a carico di quei calciatori rei di avere scommesso sulla propria disciplina. Qualora poi un calciatore scommettesse su partite della propria squadra nelle quali, scendendo in campo, avesse modo di influenzare direttamente il risultato, la situazione si aggraverebbe ulteriormente configurandosi a quel punto il reato di illecito sportivo.

Alla luce di quanto sta emergendo in questi giorni, dei primi nomi di calciatori coinvolti (Nicolò Fagioli e Sandro Tonali, in foto, su tutti) e delle prime squalifiche comminate, inizia a delinearsi un quadro della situazione piuttosto allarmante che potrebbe anche aggravarsi nelle prossime settimane.

Come mai ragazzi giovani, ricchi e famosi cadono in una trappola come questa?

Sono giovani con stipendi da favola che grazie al proprio talento e alla propria determinazione hanno fatto di uno sport la loro professione ma ad un certo punto si “perdono” nel gioco d’azzardo entrando in una scommessa collettiva insieme ad altri colleghi.  

Smettono di essere calciatori per affacciarsi in una realtà nascosta dove possono essere soltanto giocatori (o scommettitori) alla ricerca di una sfida diversa che nulla ha a che vedere con ciò che caratterizza la vita del professionista, fatta di sudore e fatica negli allenamenti e nelle partite, di sacrificio e passione per difendere i colori della propria squadra ed emozionare i propri tifosi. 

È un gioco diverso, meno impegnativo e meno serio, che non crea esposizione mediatica e sul quale certamente non si ripongono grandi aspettative. 


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È possibile che a fronte di tanti privilegi trovino nel meccanismo delle scommesse una forma di evasione tanto possibile quanto proibita; c’è un aspetto che nella pratica clinica si riscontra in molti giocatori compulsivi in recupero, il cosiddetto pensiero onnipotente, alla base del quale vi è l’idea di essere al di sopra di tutto, anche delle regole. 

Il pensiero onnipotente nasce spesso dall’insicurezza, da un’autostima fragile o scarsamente autentica

Un pensiero che nasce spesso dall’insicurezza, da un’autostima fragile o scarsamente autentica; un pensiero che permette una sorta di “riscatto”. I calciatori che raggiungono molto presto notorietà e ricchezza a volte non hanno quel grado di consapevolezza indispensabile per riconoscere il percorso che li ha condotti al successo, non hanno quella maturità necessaria per gestire e reggere la pressione che quella “vetta” implica e vivono questa grande opportunità come una gabbia dorata nella quale sentirsi invincibili.

Un’altra caratteristica dei giocatori d’azzardo compulsivi, forse la più specifica, è il cosiddetto pensiero magico; si tratta di un luogo mentale individuale, personale ed intimo, una sorta di “rifugio della mente” dove il singolo costruisce una nuova immagine di sé stesso. Il pensiero magico si sgancia completamente dalla realtà, è privo di regole che seguono la logica ed ha finalità tendenzialmente irrazionali difficili sia da spiegare che da comprendere. 

Per quale motivo si può sentire la necessità di costruire un rifugio della mente

Il pensiero magico è invece un luogo mentale individuale, personale ed intimo, una sorta di “rifugio della mente” dove il singolo costruisce una nuova immagine di sé stesso

Ognuno ad un certo punto della propria vita, sia per caratteristiche personali e caratteriali che a fronte di eventi portatori di stress e preoccupazioni o anche semplicemente per una difficoltà nel gestire certe emozioni e sensazioni (quali solitudine, tristezza, scarsa autostima), può avvertire il bisogno di evadere dalla quotidianità, cercando (e talvolta trovando) un “luogo” in cui fuggire; paradossalmente proprio l’opportunità di sentirsi qualcosa di diverso da ciò che si è nella vita reale rappresenta l’apparente beneficio più grande offerto da una malattia grave come quella del gioco.

I giocatori compulsivi infatti sono fatalmente attratti più dall’idea della fuga, della sfida, del pensiero onnipotente, che dallo strumento alla base del gioco quale è il denaro; il denaro è un mezzo, un ingrediente necessario ma non il fine ultimo di un gioco perverso che il più delle volte sovrasta irrimediabilmente la forza di volontà del singolo. 

Il giocatore mente agli altri e a sé stesso, si perde, si trasforma e supera molti limiti, spesso e volentieri anche quello della legalità.

Alcune storie di gioco appaiono più scandalose di altre perché vedono protagoniste persone avare e insoddisfatte alle quali non basta mai ciò che hanno e che desiderano sempre qualcosa di più; nell’immaginario comune queste storie sono meno accettabili di altre anche se nella realtà dei fatti alla loro base vi sono le stesse fragilità, sofferenze e desideri di fuga che caratterizzano tutte le dipendenze e le forme di schiavitù comportamentali. 

Gioca chi ha poco o nulla, chi all’apparenza ha tutto e anche chi non ha mai avuto niente ma vorrebbe avere di più; gioca chi viene dal mondo dello sport e da qualsiasi altro contesto, giocano le persone famose e quelle comuni. Ciascuno sfida la fortuna con il desiderio di qualcosa in più, di trovare attraverso le scommesse quel luogo magico dove nulla è deciso ma ancora tutto è possibile.

Tuttavia, indipendentemente da chi gioca e dalle motivazioni che lo spingono a giocare, il prezzo da pagare per i giocatori compulsivi è lo stesso per tutti e fa rima con smarrimento, solitudine e vergogna.

In apertura Sandro Tonali nello stadio San Siro di Milano – Foto Spada/LaPresse

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