Non profit

Il pecorino di Gavoi val bene una barricata

Dietro la protesta estiva dei pastori sardi

di Redazione

«Forse qualcuno dirà che non vede il problema, che questo è il mercato e queste le sue leggi, e che se falliranno tutti i piccoli allevatori, pazienza: mangeremo formaggi industriali e non ne avremo alcun danno in calorie e benessere. Ma se lo dice, senza dubbio non ha mai assaggiato il pecorino al mirto di Gavoi, o la ricotta salata di Osilo». Scriveva così, a ragione, Flavio Soriga commentando la notizia delle plateali proteste estive del Movimento pastori sardi. Sbagliata nella forma, ma giusta nella sostanza, la battaglia estiva del latte ha avuto almeno il merito di alzare il sipario su una crisi profonda che tocca il settore caseario isolano e rischia di far sparire un’antica cultura produttiva che gestisce quasi tre milioni di pecore, due per abitante, con un fatturato annuale che rappresenta un quarto dell’economia sarda.
«Era dagli anni 90 che i pastori sardi non scendevano così massicciamente in piazza per far valere i loro diritti. Allora protestavano contro gli industrali del formaggio. Oggi la battaglia è a tutto campo, con politici e imprenditori chiamati a rispondere di anni di mala gestione. Il prezzo del latte di pecora è ai minimi storici con circa 0,65 centesimi di euro al litro, mentre nel resto d’Italia arriva a 1 euro. Una situazione ormai insostenibile», spiega l’antropologo Pietro Calvisi.
Il comparto ovino è ancora l’economia trainante in molte zone della Sardegna ma solo nell’ultimo anno la popolazione ovina è diminuita di 400mila capi. A spiegare il perché delle proteste è Felice Floris, pastore a Desulo (Nuoro) e leader del Movimento dei pastori sardi: «La Ue ci ha chiesto di investire nella modernizzazione delle nostre aziende, poi però ci ha lasciati soli, con le cantine piene di formaggio invenduto». Sono 18mila i pastori dell’isola, quasi tutti piccoli imprenditori che, seguendo i segreti caseari di un’arte antica, producono formaggi d’eccellenza: pecorini feschi e stagionati, caciotte, ricotte fresche e affumicate come la Fresa e la Mustia (conservata dentro un cesto di canne). E poi Fiore Sardo, Pecorino di Osilo e Casizolu (presidi Slow Food). Quello che pochi sanno, però, è che il 70% del latte di capra prodotto in Sardegna viene trasformato, a dispetto del nome, in pecorino romano che poi viene prevalentemente esportato negli Usa. La soluzione per i pastori sardi sarebbe la tutela della produzione e l’allargamento del mercato. Val la pena allora seguire il consiglio del fondatore di Slow Food, Carlo Petrini che esorta i consumatori attenti alla qualità a «cercare i produttori e acquistare direttamente da loro».

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