Politica

Il Pd appalta il Welfare alla sua minoranza

Cosa lega gli on. Donata Lenzi, Micaela Campana e Paolo Beni cui è stata affidata la Riforma del Terzo Settore? Sono tutti esponenti di quella “sinistra” interna ridotta, da Renzi, ai minimi termini dentro il Pd. Come spiegare questa scelta? Questione di equilibri?

di Ettore Maria Colombo

Donata Lenzi (classe 1956, bolognese, cursus honorum tutto local, deputata ormai già al suo terzo mandato, prima elezione nel 2008, tesoriera del comitato Cuperlo alle primarie 2013, area Sinistra dem) è la relatrice del ddl di riforma del Terzo Settore nella XII commissione (Affari sociali e Sanità) della Camera dei Deputati. Micaela Campana (classe 1977, pugliese di nascita e formazione, romana di adozione, vincitrice delle parlamentarie della fine 2012 con messe di voti e alla sua prima legislatura, bella come il sole, bersaniana doc e, storicamente, cresciuta nella filiera Pds-Ds-Pd) è stata incaricata, nell’ambito della nuova segreteria nominata dalla Direzione del Pd, responsabile del Welfare e del Terzo Settore. Paolo Beni (classe 1954, fiorentino, una lunghissima prima vita da presidente dell’Arci di Firenze e, poi, di quello nazionale, dal 2004 all'estate 2014, di area molto vicina a Civati e a SeL, alla sua prima legislatura) è l’uomo cui la Campana avrebbe di fatto, “affidato” la materia del Terzo settore comprensiva di Riforma e suo iter in Parlamento.

Cosa lega i tre onorevoli e perché è importante sapere chi sono? Perché, appunto, è nelle loro mani il destino di una riforma cruciale e fondamentale, per tutto il mondo del non profit e per liberare le energie sociali e imprenditoriali del Terzo settore. Nulla quaestio, si potrebbe dire. Se non fosse che, ormai, il Pd di Renzi tutto sembra – e da tempo – tranne che un partito radicato e centrato sulla sua “sinistra” interna. Anzi, come è facile capire leggendo pure solo i titoli dei giornali, se c’è un’area politica che viene, quotidianamente, “bastonata” da Renzi come dai suoi fedelissimi (i “renziani”, effettivi o di complemento che siano) è proprio questa. Quella “Sinistra dem” – così l’ha ribattezzata, da poco, il suo ex leader, Gianni Cuperlo – che è, peraltro, divisa al suo interno tra “Area riformista” (gli ex bersaniani e dalemiani che si sono avvicinati al renzismo come la Campana, Amendola, Stumpo etc), i “Giovani Turchi” di Orfini, la “sinistra laburista” dei vari Damiano e Fassina e, ovvio, i civatiani.

Ecco, la prima notazione curiosa è che proprio a esponenti di una “sinistra” interna ridotta, da Renzi, ai minimi termini dentro il Pd siano state assegnate “tutte” le deleghe inerenti al Welfare e Terzo settore che pure il Presidente e Segretario considerano cruciale per riavviare il Paese.

La seconda notazione curiosa è che, tra i tanti esponenti democrat cui, dentro la XII commissione (presidente ne è Pierpaolo Vargiu, Sc), poteva, volendo, essere assegnato il compito di relatore di una riforma che vuol parlare a un mondo largo, bipartisan, oltre che composto da una forte (e maggioritaria) anima cattolica, sociale e solidale e molti altri deputati più “esperti” della materia.

Tanto per fare dei nomi al di là del buon Beni: Edoardo Patriarca, storico portavoce del Forum del Terzo Settore, ed ex presidente dell’Agesci, Ileana Argentin (deputata ex radicale e persona con disabilità), Filippo Fossati  già presidente dell’Uisp, mentre sempre tra i membri della commissione ci sono anche Eugenia Roccella (Ncd) già sottosegretaria al Welfare con delega al Terzo settore.

La terza notazione curiosa è che il Pd sembra essere tornato, nel suo approccio ai temi del welfare, del Terzo settore, ma anche del Servizio civile e, soprattutto, dell’impresa sociale all’antico. Un pizzico di statalismo, tanta freddezza e notevoli sospetti verso tutto ciò che appare o sa di contaminazione tra mondo del profit e mondi del non profit. Tanto che, per dire, tra le prime “convocazioni” che la neo responsabile Welfare Pd, Campana, ha fatto per audire mondi e associazioni del non profit ci sono quelle storiche della sinistra (Arci) e poco altro. Tanto che, per dirne un’altra, sarebbe sempre Beni a tessere le fila del lavoro che la Lenzi ha avocato a sé, in XII commissione, e che – con il placet del capogruppo alla Camera, Roberto Speranza (ex bersaniano, oggi tra gli esponenti di spicco della sinistra interna) – potrebbe ritardare o modificare di molto i contenuti più innovativi della legge.
 
L'obiettivo è arrivare in Aula entro dicembre, dicono gli ottimisti.  Ma di acqua ne deve ancora passare, sotto i ponti.

Tre i problemi: 1) alcune modifiche agli artt. 1 e 2 del ddl, da specificare meglio; 2) il servizio civile e, in particolare, degli stranieri che volessero prestarlo, in attesa di una sentenza della Consulta sul punto; 3) il solito, annoso, tema delle ‘risorse’ sia x il 5xmille che per il servizio civile (se i giovani stimati saranno 100 mila servirebbero, anche se nell’arco di due anni, almeno 500 milioni se non si cambiano le regole) e per l’impresa sociale (i 50 milioni annunciati sono assai pochi…). E, infine, proprio sull’impresa sociale e sulla sua definizione, ambito di competenze e confini, la “sinistra” democrat vorrebbe (si dice) “intervenire” con più forza per limitarne natura e azione, ovvero cambiare poco o nulla. «Se il disegno di legge delega venisse snaturato o piegato a forza – spiega un deputato cattolico centrista – ci metteremo di traverso». Si vedrà.

Certo è che, per ora, sulla riforma del Terzo settore, il primo set lo ha vinto la sinistra del Pd, non certo Renzi e i suoi. Vedremo i prossimi, non fosse altro perché la partita sarà lunga.


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