Sostenibilità
Il pasticcio delle quote. Così l’Italia va a passo di gambero
Protocollo di Kyoto: il piano di allocazione si è rivelato uno strumento per aumentare le emissioni e non per ridurle. E alla fine chi paga è sempre il consumatore... di Mariagrazia Midulla*
di Redazione
di Mariagrazia Midulla *
A distanza di due anni dall?entrata in vigore del protocollo di Kyoto, anche nel nostro Paese la politica finalmente esprime una certa preoccupazione. E muove i primi passi per invertire la rotta (vedi scheda). Anche perché il ritardo dell?Italia è almeno di 15 anni. E ancora c?è qualcuno che nega, qualcuno che tentenna, qualcuno che dice che siamo bravi e le nostre industrie si comportano bene. Ma dove? Le emissioni di CO2 sono aumentate del 13% rispetto a quelle del 1990, e Kyoto ci impone di tagliarle del 6,5% entro il 2012: questo è l?unico fatto che conta.
Il clima cambia, ma non le furbizie e le alchimie. Basta vedere cosa è successo con il Pna2, il secondo Piano di allocazione nazionale delle quote di CO2 (anidride carbonica, il principale gas serra). Con il Pna, gli Stati membri della Ue definiscono il numero di quote da assegnare gratuitamente ai settori più energivori, tra cui il termoelettrico. Il fine è diminuire progressivamente tali quote, in modo da costringere chi non riduce le emissioni ad andarle a comprare, quindi a ?pagare?.
A luglio, il ministero dell?Ambiente aveva stilato e sottoposto a consultazione una prima versione del Pna2: si assegnava gran parte dei tagli richiesti al settore termoelettrico che, al riparo della concorrenza internazionale, può scaricare i costi di politiche di riduzione della CO2 senza perdere in competitività. Come hanno fatto altri Paesi a corto di quote, innanzitutto la Spagna. Ma la versione finale del Pna2 italiano, concordata anche con il ministero dello Sviluppo economico, decide di non assegnare un numero sufficiente di quote agli impianti Cip6, che tanto scaricano i costi in bolletta, e di elargire in questa maniera un numero maggiore di quote (leggi profitti) agli altri operatori elettrici nazionali.
Il consumatore italiano, dunque, pagherà due volte l?onere di Kyoto sul settore termoelettrico. Invece di usare il commercio delle emissioni per quel che è, uno strumento per favorire con meccanismi economici la riduzione della CO2 nei settori più energivori, l?Italia, che dice di voler abbandonare il Cip6 (un ddl in tal senso è stato approvato recentemente dal governo), lo usa come serbatoio di quote da cui attingere.
Di rinnovabile nel Cip6 c?è solo una piccola parte: si tratta di meno di 10TWh di energia elettrica prodotta annualmente, che già comprende (ed è molto opinabile) anche l?energia da rifiuti solidi urbani. Gli altri 40TWh sono prodotti da impianti cosiddetti assimilati di cui circa la metà normali impianti a gas naturale a ciclo combinato e qualche volta cogenerativi; per la metà restante si tratta di combustibili da processo, gas di raffineria e di sintesi, insomma sporchi.
Noi tutti consumatori finanzieremo con circa 1.400 milioni di euro destinati alle ?rinnovabili? l?acquisto di quote di CO2. E i permessi di emissione per il settore termoelettrico saranno di 136 milioni di tonnellate di anidride carbonica, circa 10 milioni di tonnellate in più del periodo precedente: altro che riduzione proporzionale e nei termini del Protocollo di Kyoto! Con la nuova rivoluzione industriale che avanza, tenendoci il Cip6 e investendo nel carbone si scommette non sul futuro ma sul passato: e si rimane ultimi.
* Responsabile programma
Clima ed energia WWF Italia
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