Mentre andiamo in stampa il viaggio del Papa in Terrasanta non è ancora concluso. Ma si può già azzardare un primo bilancio. Una visita che si sapeva complicata. Ed anche un po’ anomala per Benedetto XVI. Papa teologo e apolitico, Ratzinger avrebbe in cuor suo desiderato compiere un sobrio pellegrinaggio religioso nei luoghi legati alla vita di Gesù. Si è trovato invece ad affrontare una mission politico-diplomatica quasi impossibile: ricucire lo strappo con gli ebrei causato dall’affare Williamson, senza deludere l’inquieta minoranza arabo-cristiana, che temeva un’andata a Canossa. La diplomazia vaticana ha preparato con cura il viaggio. I tre giorni nella tranquilla Giordania (contro le 24 ore di Wojtyla nel 2000) hanno fatto da camera di compensazione delle polemiche prima della discesa nel più rovente clima di Gerusalemme. Hanno riequilibrato la visita, dando risalto al dialogo con l’islam e non solo con l’ebraismo. Il Papa ha visitato due moschee in soli 4 giorni: neanche l’ecumenico Wojtyla aveva mai osato così tanto. Alla fine proprio l’obiettivo di riconquistare la fiducia dell’opinione pubblica israeliana è risultato il più difficile. La visita allo Yad Vashem ha deluso i diffidenti media ebraici. Non è bastata la condanna senza equivoci delle tesi negazioniste. Si pretendeva un atto di dolore in quanto tedesco. La stampa araba invece ha apprezzato le parole del Papa in favore della nascita di uno Stato palestinese.
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