Formazione

Il papà: «Non siamo clochard»

Lo ha detto in una intervista rilasciata appena dopo i funerali del piccolo Devid

di Maurizio Regosa

«Temevamo che rivolgendoci alle assistenti sociali ci avrebbero tolto i figli»: finisce così l’intervista che ha rilasciato a Il Resto del Carlino Sergio Berghi, il papà di Devid, il neonato morto a soli 23 giorni in piazza Maggiore a Bologna. Una constatazione pesante che punta l’indice sui servizi, sui criteri con i quali sono prestate le cure, sul discrimine economico che fa paura a chi non ha un lavoro fisso e fatica ad arrivare a fine mese. Esattamente con Berghi e la sua compagna, Claudia. Accuse che del resto si fondano un un’esperienza già vissuta: «mi hanno già tolto una figlia nata da una precedente relazione: ora ha 16 anni ed è affidata a mia sorella».

Le sue verità

Quando il cronista lo incontra, Berghi sta tornando dal funerale del piccole Devid. Accetta di parlargli solo per dire la sua sulle tante inesattezze che la stampa ha riportato in queste ore. Ad esempio per dire che non è vero: non sono dei clochard, non vivono per strada («una cosa assolutamente falsa»); sono delle persone normali, con qualche difficoltà economica certo, come tanti. «Mi faccio un mazzo così per trovare dei lavoretti saltuari di imbiancatura e muratura, porto a casa 700-800 euro al mese ma da prima di Natale non faccio nulla. La mia compagna faceva assistenza agli anziani ma adesso chiaramente non poteva lavorare», spiega. Quanto alla morte del piccolo, ricorda: «Eravamo stati a pranzo da mia suocera che abita al Fossolo. Stavamo tornando a casa, perché una casa ce l’abbiamo in via delle Tovaglie ( dove paghiamo 460 euro al mese e il riscaldamento funziona), e siamo passati in piazza Maggiore. Eravamo davanti alla farmacia quando la mia compagna mi ha detto di sistemare i bimbi nel passeggino, per vedere se erano coperti e mi sono accorto che Devid era giallo e viola, come se non respirasse».

«I soccorsi li ho chiamati io»

A quel punto, prosegue Berghi, «ho chiamato subito i soccorsi. E non i passanti come ha detto qualcuno. Il bimbo era in arresto cardiaco. La sera, mentre Devid era in rianimazione, i medici ci hanno detto che era stabile e tenuto in coma farmacologico. Siamo tornati a casa per farci una doccia e sistemare il gemello e poco dopo mezzanotte ci hanno richiamato perché il piccolo era molto grave. Siamo andati in ospedale a piedi». Poi il dramma. Quanto alle cause della morte, occorre aspettare i risultati ufficiali dell’autopsia. Il bimbo, nato assieme al gemello, dopo 31 settimane di gestazione non aveva patologie particolari: «quando è stato dimesso, il 29 dicembre, ci hanno detto che stava bene, che dovevamo solo tenerlo al caldo, dargli da mangiare sette pasti al giorno, cosa che abbiamo sempre fatto, e dargli delle goccine che gli abbiamo regolarmente dato, a lui e al fratellino. Quello che semmai era stato poco bene quand’era ancora ricoverato è l’altro gemello, e infatti è quello che tenevamo sempre bardatissimo proprio per questo». Quanto all’altra figlia, spiega Berghi, «avrà due anni il 23 febbraio, è nata da una precedente relazione della mia compagna: noi stiamo insieme da un anno. La piccola negli ultimi tempi stava dalla suocera ma solo perché non nascessero gelosie coi due gemelli». Infine una precisazione relativa alla casa: «è una abitazione privata. La mia compagna è in lista dal 2007 per la casa popolare ma quelle le ottengono solo gli extracomunitari. Abbiamo già l’affitto pagato fino a febbraio».

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