Cultura

Il Papa in Medio oriente: un commento

L'uguaglianza degli uomini al centro del suo instancabile viaggio nella Terra santa

di Luis A. Badilla Morales

Oggi Giovanni Paolo II, nonostante la fatica e la stanchezza, tornando a Malta dopo 11 anni, chiuderà il suo pellegrinaggio internazionale numero 99. Nonostante le tante difficoltà del viaggio, soprattutto delle sue insidie politiche, si può già concludere che si è trattato di un grande successo pastorale. Ovviamente, qui, la parola “successo” non riguarda la “performance” pontificia, bensì i benefici o le conseguenze che il suo alto magistero può offrire sia nel campo del dialogo ecumenico che in quello della martoriata realtà del Medio Oriente. Infatti, sono questi i due elementi che più hanno caratterizzato il viaggio papale. Da un lato, le proteste degli intransigenti ortodossi greci si sono spente non appena il Papa ha calpestato la Grecia alzando, forte e chiaro, il suo messaggio di riconciliazione con una coraggiosa richiesta di perdono per i mali che ambedue le parti, lungo i secoli, si sono inflitti. La stessa richiesta di perdono ha riecheggiato dopo, a Damasco, nella moschea, per quanto riguarda l’altra dimensione religioso-spirituale che sta a cuore al Papa polacco: il dialogo inter-religioso con i fratelli musulmani. Ancora una volta, il Papa, non solo ha tenuto fede ai motivi che ispirano i suoi viaggi, ma anche alle impronte primordiale del suo pontificato, lungo il quale, non si mai stancato di ripetere che le grandi religioni monoteistiche sono alla base del paradigma della convivenza pacifica, nel rispetto mutuo dei credenti, figli di Abramo, e della collaborazione al servizio della centralità dell’uomo. E, partendo da queste solide basi, il Papa Karol Wojtyla, ha saputo, ancora una volta riproporre con forza, senza demagogia o cedimenti facili, la necessità impellente di imboccare nel Medio Oriente –palestinese e israeliani insieme – la via del negoziato e del dialogo per raggiungere la pace. Non erano compiti facili per il Papa. Non solo si rischiava l’uso politico delle sue parole e dei suoi gesti. C’era anche il pericolo che il suo magistero fosse frainteso perché, magari, in un mondo pieno di estremismi, ritenuto ambiguo o non abbastanza aggressivo. Tanto nell’ambito del dialogo inter-religioso come dell’incontro ecumenico, così come di fronte al dramma terribile del Medio Oriente, il Papa e con lui la chiesa Cattolica tutta, ribadiscono l’unica via possibile, quella della discussione, dell‘incontro sincero, della sana negoziazione, per far fronte ai tanti problemi dell’uomo d’oggi e delle società odierne. Può sembrare un’utopia, quasi un sogno snaturato di sostanza storica, ma è proprio il contrario. Chiunque può vedere a dove conduce la guerra, il conflitto, lo scontro, e quindi può misurare il “risultato finale” dell’odio e dell’intransigenza. A mio avviso, fra le tante cose che si possono dedurre da questo pellegrinaggio del Papa, queste che abbiamo rilevato sono quelli di cui ha più bisogno l’umanità. Non sono molti, fra i potenti della terra, che osano parlare in questo modo. Loro pensano con le categorie della geopolitica, della ragion di stato, degli interessi nazionali o di blocco. Sono in pochi, fra cui Giovanni Paolo II, coloro che mantengono la barra sulla centralità dell’uomo e della sua dignità. Eppure solo questa è la via maestra per organizzare un futuro migliore per tutti, ma, soprattutto per quelli che oggi come oggi sono più martoriati. Il Papa ha voluto compiere un ulteriore viaggio sulle orme dell’Apostolo Paolo. Lo ha fatto e durante questi giorni ci ha offerto una sorte di “riedizione” contemporanea dell’Apostolo che duemila anni fa, da uno estremo all’altro del Mediterraneo, per primo volle portare il messaggio cristiano a tutti, a ogni uomo, senza distinzione, perché convinto che in esso c’era la più insurrezionale delle profezie: l’uguaglianza sostanziale degli uomini chiamati a vivere insieme come i figli di uno stesso Padre.


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