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Il pacifismo guardi al domani

#pacifismoannozero: «La grande sfida del pacifismo postmoderno è tutta qui: non si tratta “solo” di accettare di esporre il proprio corpo alla sofferenza delle pratiche di nonviolenza attiva, come Ghandi e Martin Luther King hanno fatto; si tratta di capire come far depositare le armi a una potenza militare che ha in sé il potere di distruggere il pianeta senza, tuttavia, poter sperare che quella potenza abbia una coscienza nonviolenta». Uno stralcio dell'intervento del portavoce della rete "Per un nuovo welfare". La versione integrale sul numero di Vita magazine di aprime

di Angelo Moretti

Nell’epoca della “coscienza atomica”, come la definiva Bobbio, il domani è un’eventualità che l’autominaccia dell’uomo a se stesso potrebbe anche cancellare. Quando le potenze nucleari passano da una guerra di controllo di finanze e di mercati delle materie prime ad una guerra fatta di esplosioni e di truppe, non vi è più certezza del domani.

La grande sfida del pacifismo postmoderno è tutta qui: non si tratta “solo” di accettare di esporre il proprio corpo alla sofferenza delle pratiche di nonviolenza attiva, come Ghandi e Martin Luther King hanno fatto; si tratta di capire come far depositare le armi a una potenza militare che ha in sé il potere di distruggere il pianeta senza, tuttavia, poter sperare che quella potenza abbia una coscienza nonviolenta. Il pacifismo nonviolento è un valore “finalistico”, uno scopo ultimo di una filosofia di vita, come Bobbio definisce la spiritualità della nonviolenza, ma è anche una pratica strategica, come ne scrive ripetutamente Ghandi nelle sue lettere. Di fronte alla responsabilità che i nostri figli possano non avere un domani in cui crescere, la nonviolenza attiva veste i panni di una lotta tattica che tende a disarcionare un cavaliere dell’Apocalisse per evitare che questi porti a compimento il suo messaggio di distruzione.

Oggi sappiamo che la resistenza armata ucraina rappresenta un valore universale, il valore dei popoli che lottano uniti per non essere soggiogati dal potente di turno; essa non è un’offesa al pacifismo ma l’esercizio coraggioso di un diritto. Ma sapere da che parte sta la ragione non ci può bastare. La nostra coscienza atomica ci avverte che c’è un limite: evitare il surriscaldamento del conflitto affinché una guerra giusta non si trasformi in una guerra nucleare.

È in questo punto di equilibrio che il “domani” dovrebbe imporre l’agenda di chi combatte e, allo stesso tempo, di chi intende non sparare un colpo per essere fedele alla sua spiritualità. Fino a quando si può sparare contro una potenza nucleare che non accenna a redimersi? In teoria tutti i giorni si deve lottare fino alla vittoria degli oppressi sugli oppressori, in pratica finché non si è certi (chi può avere questa certezza?) che il violento oppressore non prema un bottone che avvii la distruzione del pianeta. Il nostro pacifismo post moderno non ha solo i contorni spirituali degli insegnamenti evangelici, che ci dicono che la Croce e non una spada hanno salvato il mondo, e neanche solo quelli del Satyagraha, la lotta nonviolenta dei deboli basata sulla “forza della verità”; ma ha anche i crismi dell’ahimsa, la strategia nonviolenta di risoluzione dei conflitti…PER CONTINUARE A LEGGERE SCARICA IL NUMERO DI VITA MAGAZINE DI APRILE OPPURE ABBONATI

Foto: Vincenzo Circosta, Avalon/Sintesi

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