Volontariato

Il nuovo volontariato: senza categorie e in cerca della felicità

Il Rapporto 2017 del Csv padovano ha il volto di una donna cinquantenne colta, ma rivela anche il diffondersi di “nuove forme di prossimità”: difficili da incasellare in un’associazione, nascono per motivi contingenti e sono finalizzate alla sola vicinanza e alla condivisione

di Anna Donegà

Donna cinquantenne, di buona cultura, lavorativamente attiva, impegnata quasi quotidianamente in associazione. Questo è l’identikit del volontario padovano che emerge dal secondo rapporto del volontariato curato dal Centro di servizio per il volontariato provinciale, che sarà presentato sabato 2 dicembre nell’Agorà del Centro culturale Altinate San Gaetano di Padova in occasione della giornata internazionale del volontariato.

In base ai risultati del campione di associazioni della provincia a cui è stato somministrato un questionario, il 60% dei volontari è donna ed ha più di 55 anni, mentre solo l’1% è sotto i 18 anni e la maggior parte dei giovanissimi si concentra in poche associazioni. 3 volontari su 4 hanno un diploma superiore o una laurea. Il 45% è lavoratore, altrettanti sono pensionati.

L’attività gratuita è svolta in maniera sistematica da 2 volontari su 3. Ciò significa che l’impegno è quotidiano e, generalmente, ciascuno ha una precisa mansione e turni di servizio definiti. I volontari più occasionali sono i giovanissimi, per i quali generalmente l’attività si concretizza in impegni saltuari, come la collaborazione ad un evento, a una raccolta fondi o a un progetto preciso. Nonostante la maggior parte dei volontari sia donna, il 71% dei presidenti è maschio, con età media di 61 anni e quasi 1 su 2 è pensionato.

I volontari sono inseriti in una delle 6.104 organizzazioni non profit padovane censite nel 2017 – su 301.191 attive in Italia – con un incremento di 84 realtà negli ultimi 12 mesi. Le nuove sono per lo più impegnate nell’ambito cultura e ambiente e in quello socio sanitario, mentre si rileva una lieve diminuzione delle associazioni sportive e delle organizzazioni di coordinamento interassociativo. Si tratta per quasi l’80% delle 6.104 organizzazioni di piccole realtà, con entrate annuali inferiori a 30.000 euro annui e con un numero medio di 45 volontari.

«A Padova notiamo la congiunzione di almeno due tradizioni molto diverse, – spiega Emanuele Alecci, presidente del CSV Padova. – Da un lato il volontariato che cerca la trasformazione sociale e che proviene dalle vecchie scuole della militanza politica, sindacale, dei movimenti sociali, cristiana etc. Dall’altro lato assistiamo ad un volontariato che cerca la realizzazione personale in un mondo che non si condivide appieno. A ciò oggi si aggiungono tutti quei ‘volontariati’ e impegni civici che hanno fatto fiorire anche nella nostra provincia nuovi lavori e nuove professioni. Stanno creando innovazione sociale, culturale e politica. Questo volontariato rappresenta un patrimonio straordinario di risorse la cui valorizzazione può contribuire in modo importante alla coesione sociale, alla riduzione delle disuguaglianze e dei processi di esclusione».

Ed è proprio per dare valore a queste nuove forme di impegno civile che il Rapporto del volontariato padovano del 2017 dedica un approfondimento a quelle che sono state definite “nuove forme di prossimità”. È evidente che le dinamiche sociali, se da un lato portano i cittadini a trincerarsi in meccanismi individualisti, dall’altro stimolano la nascita di organizzazioni che hanno come “vocazione” l’aggregazione, la promozione e il recupero dei luoghi comuni – intesi sia come luoghi fisici, che come luoghi “ideali” – e le relazioni sociali.

Le nuove forme di prossimità, il cui sviluppo viene generato da motivi contingenti – la necessità di far fronte a tutte le difficoltà cui i tempi attuali ci costringono – hanno come fine ultimo la ricerca della felicità, del benessere, della soddisfazione della vita. Sono realtà che nascono nel privato sociale ma che si distanziano spesso dalle logiche istituzionali che le vorrebbero incasellare in categorie predefinite, a favore di un impegno personale, libero da costrizioni burocratiche, finalizzato alla sola vicinanza, all’aiuto empatico, alla condivisione. Ne risultano quindi realtà in fermento, non sempre organizzate in forma associativa.

Tra queste ad esempio è significativa la storia di Sara, educatrice che nel 2008 decide di licenziarsi e, insieme ad altri quattro amici, allora sotto i 30 anni, dà vita ad una cooperativa sociale agricola per coltivare verdure nel rispetto dell’ambiente e offrire occasioni di occupazione per giovani e adulti in situazione di svantaggio sociale. Caresà, questo il nome della cooperativa, in questo decennio ha dato lavoro a decine di persone, è presente nei principali mercati ortofrutticoli, ha sviluppato progetti in rete con diverse realtà locali e si appresta a inaugurare a dicembre una nuova struttura che sarà agriturismo, punto vendita e villaggio degli animali.

Manuele invece, da padre, si è posto il problema dell’educazione dei propri figli ed ha avviato insieme ad un gruppo di persone “I semi del tarassaco”, un progetto di non-scuola parentale con un approccio pedagogico libertario che si basa sulla partecipazione attiva dei bambini nel percorso formativo e nel coinvolgimento dell’intera famiglia, in rete con le altre.

Lucrezia, infine, studentessa di Psicologia all’Università di Padova, da un progetto avviato all’interno del corso in psicologia di comunità, sta coordinando #progettogentilezza, un embrione di social street che si sta sviluppando in uno dei quartieri più interculturali di Padova che, grazie all’impegno di molte associazioni, sta riscoprendo il proprio senso di comunità.

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