Famiglia

Il nuovo corsoalla prova delle Paralimpiadi

In Cina vivono 83 milioni di disabili: le cose vanno meglio. Anche grazie allo sport

di Redazione

Parlare di Cina e disabilità significa uscire dalla nostra dimensione per tuffarsi in un oceano di numeri immensi. Provate a pensare a 83 milioni di persone con disabilità: l’Italia intera e poi ancora oltre 20 milioni di cittadini. Tanti sono, o sarebbero, i disabili cinesi stando all’ultima statistica ufficiale, del 2006. Una popolazione sterminata, disseminata in un territorio diseguale ma concentrata in gran misura nelle campagne: perché – non è una novità – ovunque nel mondo disabilità fa rima con povertà. Basti pensare che nel grande capitolo della “riabilitazione” i cinesi hanno annoverato, nel 2007, 800mila operazioni di cataratta, e fra queste 230mila a carico di persone povere.
I numeri, diffusi dalla Federazione cinese delle persone disabili, sono importanti, e costituiscono una chiave per interpretare le parole, i principi, i comportamenti. Si scopre così che una lotteria nazionale ha finanziato interamente gli interventi di riabilitazione destinati a 190mila persone disabili povere. E finalmente si affronta in modo “comprensivo e aperto” il tabù delle malattie psichiatriche e della disabilità mentale, piaga nascosta, reclusa, ignorata. Scopriamo così che ci sono 27 centri per l’autismo nei quali si educano oltre mille persone con sindrome di autismo: già l’uso di questi termini testimonia un passaggio epocale, maturato negli ultimi decenni. Basti pensare che la federazione è nata solo nel 1988, ed è un’organizzazione “ombrello” che conta su 80mila funzionari. Tanti? Non dimentichiamo che si occupano di 83 milioni di disabili. La confusione sui principi, dunque, è comprensibile.
Parlare di inserimento scolastico, ad esempio. Come saranno quelle 1.667 scuole “speciali”? Sappiamo solo che servono a dare istruzione a ragazzi ciechi, sordi, con difficoltà mentali. Sarebbe meglio il nostro modello di integrazione, ammesso che funzioni? Può darsi, ma non possiamo far finta di niente, se gli stessi cinesi ammettono che nel 2007 ci sono stati 227mila bambini e ragazzi con disabilità in età scolare che non hanno avuto accesso all’educazione: fra questi ben 50mila hanno solo una disabilità fisica.
L’inserimento lavorativo in Cina è sicuramente un’altra sfida difficile. Lo comprendiamo quando leggiamo come una conquista che 7mila non vedenti sono stati avviati al lavoro di massaggiatore, e 100mila nel campo del fitness. Questo mentre in Italia, giustamente, i ciechi rivendicano il diritto a non essere utilizzati solo come centralinisti o, appunto, massaggiatori. Ma è importante sapere che 392mila persone disabili hanno trovato lavoro nel 2007, e che i disabili occupati nelle zone rurali sono quasi 16 milioni.
Finalmente i media cinesi cominciano a parlare della disabilità, le televisioni affrontano l’argomento, campagne di sensibilizzazione si svolgono ovunque. È quasi sicuramente lo sport a fare da grimaldello, con le imminenti Paralimpiadi a Pechino, in settembre. Saranno centinaia gli atleti cinesi a contendere il medagliere alle potenze sportive occidentali, ed è quasi sicuro che la nazionale di casa sarà la sorpresa delle Paralimpiadi. È dunque evidente che lo sport consentirà di parlare della disabilità in termini di orgoglio nazionale, di risorsa positiva, di successo: un traguardo che sarà anche un punto di partenza.
Ma che le cose in Cina stiano cambiando in meglio lo testimonia la velocità con la quale è stata ratificata la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, e la qualità del testo della nuova legge sulla “protezione” delle persone con disabilità. L’articolo 3 non lascia dubbi di interpretazione: «Le persone con disabilità dovranno godere degli stessi diritti degli altri cittadini nel campo politico, economico, culturale, sociale e anche nella famiglia». Un esercito in marcia, dunque, che ha bisogno della collaborazione di tutto il mondo.


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