Salute
Il numero che aiuta a superare le paure
È nato durante la pandemia, ma oggi il servizio telefonico che l’Afipres ha attivato per aiutare in quel momento di smarrimento è diventato irrinunciabile anche per chi ha bisogno solo di una parola di conforto. Un'associazione nata in seguito alla morte di un giovane violinista, Marco Saura, e che oggi è diventata una realtà che lavora ogni giorno sulla prevenzione del suicidio
Ci sono associazioni che nascono per portare avanti obiettivi di promozione e riscatto sociale, motivate da competenze che si vogliono mettere in campo, passioni sopite, ideali culturali e politici. Quando, però, la spinta viene dal cuore per un’esperienza personale dolorosa, allora la prospettiva da cui guardare è completamente diversa. Lo sa molto bene Livia Nuccio che l’associazione che presiede dal 1994, l’Associazione famiglie italiane per la prevenzione suicidio (Afipres), l’ha intitolata al figlio Marco, scomparso a soli 23 anni, decidendo di spendere tutta la sua vita per chi, a causa della depressione, vede nel suicidio l’unica strada percorribile.
«Marco era un giovane violinista che soffriva di una forma di depressione per la quale prendeva dei farmaci che gli procuravano tremore – racconta lei stessa -, non consentendogli di tenere in mano il suo amato violino. Una carenza affettiva verso il suo strumento che giorno dopo giorno è diventata insopportabile, tanto da fargli decidere di togliersi la vita. Allora la depressione non veniva curata con la psicoterapia, ma con i farmaci che avevano conseguenze devastanti».
Sfavillante si annunciava il futuro di Marco, un primo violino con una menzione speciale per la musicalità dal Teatro Santa Cecilia di Palermo.
«L’immenso dolore provato per quanto accaduto mi ha fatto trovare prima di tutto nella fede il mio riscontro affettivo. Poi mi sono proposta di non odiare la giovinezza, chiedendo sulla sua bara che non fosse una morte sterile, che avesse un senso, dandomi modo di realizzare per altri quello che non ero riuscita a fare per lui. In momenti del genere vorresti abbracciare anche tu la morte, ma dovevo andare oltre».
È nel ‘94, quindi un anno dopo la morte di Marco, che nasce l’Afipres attivando subito il Telefono Giallo, un centro di ascolto che, al numero 800.011.110, offre ascolto e sostegno per eventualmente indirizzare alle cure più idonee.
«Certo mi piacerebbe fare ancora di più – aggiunge la presidente dell’Afipres – perché, quando ti prendi cura delle fragilità, entri a fare parte di mondi oscuri. Un impegno gravoso anche perché oggi c’è la tendenza a fare impresa sociale che, parlando del nostro settore, per me vuol dire strumentalizzare e vendere il proprio dolore. Invece, rispetto alla mia esperienza, fare volontariato ha significato e significa dare quello che non ho potuto capire e offrire a mio figlio e ad altri figli, ad altri giovani».
Un servizio necessario che, durante il Covid, si è implementato in considerazione di un momento che ha rivoluzionato la vita di tutti, imponendo nuovi ritmi di vita per andare al supermercato, in farmacia, scendere il cane, le uniche attività possibili per chi poteva. Particolarmente complicato, il periodo del lockdown, lo è stato per chi, a una condizione in cui la libertà era limitata negli spostamenti, aggiungeva anche un disagio pregresso personale.
Da questa considerazione, infatti, nasce l’Ambulatorio psicologico online che l’”Afipres Marco Saura” ha attivato, attraverso il numero 340.0552032, per non fare sentire soli coloro che il Covid stava rischiando di annullare soprattutto nello spirito. Servizio che non ha mai smesso di funzionare, anche per tutte le persone che i volontari dell’associazione accolgono nella sede di Cruillas, quartiere periferico della città di Palermo a metà tra la circonvallazione e le strade che si inerpicano e attraversano i Comuni montuosi dell’hinterland palermitano. Un quartiere non proprio dormitorio, ma lontano dal centro cittadino, quindi privo di luoghi di aggregazione pubblici che consentano ai più giovani di incontrarsi in spazi protetti. Grazie, però, a realtà come l’Afipres, con i suoi laboratori creativi, musicali e di animazione, i ragazzi riescono a evitare la strada e abbassare quei livelli di stress che generano disagio e fragilità psichica, preludio a comportamenti autolesionisti e suicidari.
«Mi sono chiesta come potevano fare le persone che prima del Covid si riunivano nella nostra sede –spiega Viviana Cutaia, psicoterapeuta dell’associazione – e per le quali eravamo una certezza. Siamo stati pionieristici perché, sino ad allora, non c’era un servizio che potesse attivare una connessione con le persone, senza che fosse la classica telefonata. Anche online riuscivano a creare una dimensione accogliente come se fossimo nella stessa stanza. Ci separava solo lo schermo. Abbiamo avuto ragione perché le richieste sono state circa mille e stiamo continuando ad aiutare le persone a superare la paura che non si spegne».
Un’età media di 40 anni quella di chi si è rivolto durante la pandemia all’ Ambulatorio psicologico online, chiamando esprimendo in maniera ampia e condivisa uno stato di angoscia per qualcosa che sfuggiva alla comune comprensione
«In effetti pensavo che sarebbero stati più i giovani e gli anziani a contattarci – aggiunge la Cutaia -, ma me lo sono spiegato con il fatto che i quarantenni sono quelli che hanno subito per primi il contraccolpo della pandemia. Le conseguenze per i giovani stanno arrivando ora con la rabbia che stanno tirando fuori. Conseguenze anche di un fenomeno come quello degli Hikikomori, sul quale dovremmo ben riflettere. Per noi, l’intervento che stiamo facendo, viene inquadrato in un percorso volto al benessere della persona. Ci ha, infatti, fatto felice la proposta, da noi subito accolta, di creare un “ambulatorio di psicoterapia popolare di quartiere” che a Cruillas siamo certo che farà la differenza».
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.