Non profit

Il non profit sotto una montagna di crediti

Un viaggio tra associazioni e cooperative

di Maurizio Regosa

Oltre alle mancate entrate per il ritardo pazzesco dei pagamenti, ci sono anche gli oneri finanziari. Per le organizzazioni il problema inizia ad essere preoccupante. Ma non dappertutto è così. Alcune amministrazioni hanno trovato delle soluzioni…
La fila dei creditori dello Stato, pagatore lento e titubante, non è solo composta dalle cooperative sociali (che aspettano circa 25 miliardi: se n’è parlato nel numero 3 di Vita). In questo panorama un po’ kafkiano, un po’ “sovietico” (nel quale la società, pare, non abbia diritti), altri soggetti del non profit sono in coda. Alcuni da cinque anni. Vanno comunque avanti e così finanziano la pubblica amministrazione.

Acli, gli oneri finanziari
Le Acli gestiscono molte attività. E per tutte denunciano ritardi. «Bisogna distinguere», ammonisce il segretario generale, Roberto Oliva. «Per i patronati si va avanti ad acconti: a ottobre 2008 abbiamo ricevuto il saldo 2005. I Caf sono liquidati per le dichiarazioni dei redditi con maggior rapidità: è tutto informatizzato e il pagamento arriva un anno dopo». E le cooperative? «È un’ecatombe. Alcune potrebbero chiudere. In Sicilia ad esempio». Anche per le associazioni, oltre ai ritardi, ci sono gli oneri finanziari. «Per 28 milioni di euro», puntualizza Oliva, «ammontano a circa 250mila euro. Quanti progetti e posti di lavoro si potrebbero creare?».

L’esempio Salerno…
E sì che ci sarebbe già una norma. È il decreto legislativo 231 del 2002. «Il creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi moratori», recita all’articolo 3. Provate a chiederli. Vi sentirete un bel «niet» (non solo semplificare, ministro Calderoli, prima applicare?). Alcuni Comuni (pochi) una soluzione l’hanno cercata. Salerno – testimonia Patrizia Stasi, presidente del consorzio La rada – ha stipulato un protocollo d’intesa con Banca Etica (che anticipa l’80% del fatturato): «Il Comune copre anche il 70% degli interessi passivi». Di contro, alcune cooperative hanno creato gruppi d’acquisto.

…e quello della Lombardia
Cinque anni di attesa. Un credito di 20 milioni di euro. È la via crucis della Fondazione Exodus e del suo amministratore, Beniamino Pozzi. «La situazione è difficile», spiega, «specie da quando i debiti delle Asl sono passati alle Regioni. Alcune, come Campania e Calabria, non riconoscono i debiti del passato. E come si fa?». «Un’ottima iniziativa l’ha assunta la Lombardia», aggiunge Pozzi, «dal 2007 fa un budget sulla base dello storico. Ogni mese fatturiamo un dodicesimo della cifra stimata. A fine anno, si fa il consuntivo». Perché non estendere questa soluzione?

Efficienza, quattro maglie nere
Il ministro Tremonti non sa quanto costerà il federalismo. Ma in termini di efficienza, all’Anpas qualcosa l’hanno già intuito. Se in Toscana e Liguria contano su una certa regolarità (90 giorni, ma in alcuni casi l’attesa raddoppia) e se Torino è un’isola felice, nelle Marche il ritardo medio arriva a 180 giorni; ad Ancona raggiunge i 365. Nel 2007 i volontari hanno accolto il Papa con una fascia nera al braccio: non ricevevano rimborsi da due anni. «Poi i controlli sono passati a un ufficio più efficiente e le cose sono migliorate», commenta Alfonso Sabatino del Comitato regionale. Non serve una rivoluzione. Basta migliorare organizzazione e produttività. Come registra anche l’Auser che ha stilato una graduatoria dell’efficienza: «Le maglie nere sono 4: Veneto, Piemonte, Toscana, Campania. Ritardi di mesi, che diventano anni a Napoli, dove non escludiamo di sospendere i servizi», spiega il vicepresidente Luigi De Vittorio.

Filo d’oro: 5 milioni di crediti
Chi guida un’ambulanza, ha un certo potere contrattuale. Ma gli altri? «Potremmo coinvolgere le famiglie degli utenti», ragiona Rossano Bartoli, segretario della Lega del Filo d’oro, «e forse così otterremmo il pagamento dei circa 5 milioni che attendiamo da un anno e mezzo. Ma come si fa?». «Inoltre occorrerebbe la certezza del finanziamento», aggiunge, «tanto più che parliamo di riabilitazione. Invece vediamo scelte molto diverse. Il rischio è che paghino i pazienti».

Oliver Twist, effetti collaterali
Sottoposte a stress finanziario pluriennale, le non profit corrono però anche altri rischi. Ad esempio quello di faticare di più a trovare partner di sviluppo. «Le fondazioni private scelgono dove investire. Uno dei criteri fondamentali è la sostenibilità di un progetto. È evidente che un contesto istituzionale caratterizzato da simili ritardi non incoraggia», testimonia Anna Venturino, dg della Fondazione Oliver Twist. «In questo modo gli enti locali disincentivano quanti intendono contribuire ad aprire comunità territoriali».


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