Leggi

Il non profit in banca

Si discute in Parlamento sul disegno di legge Ciampi sulla riorganizzazione delle fondazioni bancarie. In particolare l’accento cade sulle agevolazioni e gli incentivi fiscali collegati alla dismissio

di Redazione

Da diversi anni, ormai, il settore non profit ripone nelle fondazioni di origine bancaria le speranze per un sostegno e uno sviluppo che lo possano portare ai livelli economici e dimensionali degli altri Paesi europei.

A partire dal 1990, infatti, anno di promulgazione della legge Amato-Carli che le ha istituite, le fondazioni devono, per statuto, operare nei settori propri dell?economia sociale: arte, cultura, sanità, ricerca scientifica.

I successivi provvedimenti normativi – prima fra tutti la direttiva Dini del 18 novembre 1994 – hanno tentato di stimolare l?attività sociale delle fondazioni, valorizzandone il ruolo di enti non profit, senza però affrontare in maniera completa e decisa le problematiche relative al loro ruolo e alla loro natura.

Molto forte è l?esigenza, pertanto, di una radicale riforma, volta a fornire alle fondazioni bancarie un?identità e una funzione che permettano di riqualificare la loro attività nei tradizionali settori di competenza.

In tale direzione sembra orientato il Ddl Ciampi attualmente in discussione in Parlamento, che ha però originato profonde divergenze: da un lato, la quasi totalità delle fondazioni bancarie, molto critiche verso il disegno, in quanto ?lesivo dell?autonomia degli enti?; dall?altro lato, diversi esponenti della società civile, che considerano il Ddl sostanzialmente equo e adatto, con alcune modifiche, al raggiungimento delle proprie finalità.

Scopo del seguente articolo è affrontare il primo dei punti evidenziati.
In relazione, quindi, al processo di dismissione delle azioni delle Casse di risparmio, attualmente detenute dalle fondazioni, occorre prendere in considerazione quattro aspetti introdotti dalla normativa:
– agevolazioni fiscali per le fondazioni
– incentivi fiscali per gli acquirenti
– trasferimento degli immobili dalla banca alla fondazione
– ammontare minimo di risorse da destinare ai fini istituzionali

Il Ddl Ciampi, al contrario di quanto previsto dalla normativa precedente, non impone vincoli e limiti temporali alla vendita, bensì la incoraggia attraverso una serie di agevolazioni fiscali.

In particolare, il disegno prevede:
– esenzione totale dalla tassazione delle plusvalenze se le vendite avvengono entro 4 anni dall?entrata in vigore della norma;
– trasformazione delle fondazioni in società finanziarie, assoggettabili, quindi, alle imposte ordinarie come le società commerciali, se entro il quarto anno non avranno dismesso.

Un aspetto non trascurabile, però, riguarda la scarsa possibilità di ottenere plusvalenze: in base a considerazioni circa la redditività media (che si è attestata, nel 1996, a circa il 2,7%) e il rischio medio delle aziende bancarie, è piuttosto probabile che la vendita delle azioni generi sostanziali minusvalenze, a causa della bassa appetibilità delle aziende bancarie.

Per ovviare a questo non trascurabile ostacolo alla vendita, oggetto di dibattito sono le agevolazioni fiscali a favore dei risparmiatori acquirenti delle azioni. Inizialmente prevista dalla norma, la facoltà delle persona fisiche di
– optare per la ritenuta a titolo di imposta, nella misura del 12,5%, sugli utili derivanti dalle azioni;
– esenzione dall?imposta sulle successioni per le azioni acquistate, fino a concorrenza di un valore pari a centocinquanta milioni di lire; è stata invece eliminata nella versione definitiva.

Da più parti, questa decisione ha sollevato forti critiche: la scarsa redditività e produttività del settore e la mancanza di un mercato efficiente avrebbero richiesto un meccanismo di sostegno alla domanda, collegato a un sistema di incentivi fiscali per compensare la ridotta appetibilità dei titoli.

Se la giustificazione della mancata concessione di tale agevolazione va ricercata nella rilevante perdita di gettito per l?erario italiano, non sopportabile nel momento storico attuale, un?utile soluzione potrebbe essere costituita, a parere di chi scrive, da un?offerta simile a quella prevista per la privatizzazione ENI:
– uno sconto sul prezzo di vendita, con una percentuale però intorno al 5%;
– l?attribuzione gratuita, agli azionisti che abbiano conservato le azioni per dodici mesi, di una azione ogni 10 azioni possedute.

Questo permetterebbe di offrire incentivi apprezzabili da parte dei risparmiatori, senza gravare sul bilancio dello Stato.
È invece previsto, per facilitare i processi di vendita, che le banche possano scorporare, in regime di neutralità fiscale, tutti quei beni non strumentali – in particolare immobili e partecipazioni – che erano stati oggetto di rivalutazioni patrimoniali, connesse alla legge Amato, effettuate secondo valori di mercato elevatissimi; questo con la finalità di evidenziare le consistenze patrimoniali, incrementando il patrimonio di vigilanza, e ampliare, di conseguenza, l?operatività. L?art. 5 del Ddl dispone, infatti, la ?neutralità fiscale delle scissioni, anche parziali, se operate a favore di società controllate dagli enti o dalle società conferenti, aventi per oggetto i beni non strumentali, nonché le partecipazioni non strumentali?. Il percorso è molto semplice: i beni vengono rilevati dalle fondazioni; il patrimonio contabile delle aziende di credito si riduce; aumenta la redditività del capitale e il conseguente interesse del mercato.

Il punto più delicato e forse più controverso del Ddl Ciampi riguarda la norma che affida all?Authority la fissazione di un limite minimo di reddito, in rapporto al patrimonio della fondazione, da destinare ai fini istituzionali. È questa una disposizione simile a quella da tempo adottata negli Stati Uniti, dove tale percentuale minima obbligatoria è pari al 5% del patrimonio.

Questo potente incentivo per la dismissione può dare luogo a due situazioni:
a) Se la banca presenta un rendimento analogo o superiore a quello stabilito, la fondazione può decidere con maggiore libertà le modalità e i tempi della dismissione. In questo caso è anzi probabile che la fondazione abbia interesse maggiore alla vendita di una banca redditizia, per sfruttarne le agevolazioni fiscali.
b) Se la banca offre un rendimento inferiore alla soglia – come è probabile allo stato attuale – il soddisfacimento della soglia minima originerebbe una lenta e graduale erosione del patrimonio: sarà quindi probabile, se non obbligatorio, un disinvestimento delle azioni della banca per acquistare attività più redditizie.

Nel caso in cui, a causa di ragioni di mercato particolarmente negative, possa essere difficile cedere la banca a condizioni vantaggiose, gli amministratori potrebbero accettare temporaneamente una perdita patrimoniale, in attesa di una migliore situazione di mercato.

La dismissione e il collocamento dei titoli rappresenta il primo passo della riorganizzazione delle fondazioni bancarie e della loro trasformazione in enti non profit; pertanto, è necessario, al fine di svolgere meglio la propria attività istituzionale, che la fondazione possa contare su una pluralità di fonti di finanziamento, non concentrando tutte le proprie attività nel capitale di una sola banca.
a cura di Fabio Amatucci

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.