Formazione

Il non profit fa davvero scuola

Formazione, le ragioni e i numeri del boom

di Francesco Agresti

Economicamente si guadagnerà anche meno ma nel non profit, professionalmente, si cresce molto di più. Dalla fase pionieristica del ?fai da te?, alla nascita di veri e propri corsi accademici. Come è cambiato in questi anni il modo di fare formazione nel sociale? E come si riconosce un buon corso?«La formazione inizialmente era destinata ai dirigenti», spiega Antonio Benedetti, esperto di formazione di Cgm, «negli ultimi tempi è diventata più pervasiva coinvolgendo l?intero organigramma fino ad arrivare agli operatori. Nelle prime esperienze di cooperazione sociale è stata una leva fondamentale per il governo dello sviluppo, la dirigenza storica si è formata proprio in questo periodo. Un ruolo di rilievo nell?organizzazione e nella gestione dei processi formativi», prosegue Benedetti, «lo hanno avuto le strutture a rete, dai consorzi alle centrali cooperative. I primi hanno puntato più sullo sviluppo degli aspetti manageriali, le centrali invece sull?evoluzione del panorama normativo». Da formati a formatori Dai vertici alla base sociale, i processi formativi diventano nel tempo una costante in numerose realtà del non profit. Tra i formatori della prima ora c?è anche chi ha puntato fin dall?inizio prevalentemente sulla formazione degli operatori riscontrando tra loro una propensione a diffondere a loro volta le competenze acquisite. «Coloro che aspirano a lavorare nel non profit», spiega Paolo Nalon, fondatore dell?Istituto Cortivo di Padova, «assorbono come spugne gli input che vengono trasmessi nei percorsi formativi e la loro forte motivazione è un catalizzatore che moltiplica in modo esponenziale la qualità del lavoro». «Nel corso della mia esperienza», prosegue Nalon, «ho rilevato una sincera disponibilità a trasmettere quanto si è appreso. Questo dare non è visto come un indebolimento della propria posizione ma, al contrario, come una forma di crescita. Negli ultimi anni, inoltre, si è alzato il livello medio di scolarizzazione. Qualche anno fa il 60% dei nostri allievi aveva la licenza media, il 35 quella superiore e solo il 5 la laurea. Nel 2001, il 60% dei corsisti era diplomato, il 30 aveva la licenza media e i laureati sono saliti almeno al 10». Dal ?fai da te? ai corsi d?ateneo: la consapevolezza dell?importanza di una formazione allargata e di qualità è aumentata con il consolidarsi delle esperienze d?impresa. «Nelle imprese sociali si fa più formazione che in quelle profit», sottolinea Carlo Borzaga, professore alla facoltà di Economia dell?università di Trento e presidente dell?Issan. «Quella della formazione è un?esigenza cui le cooperative sociali hanno dovuto inizialmente far fronte da sole, poiché la maggior parte delle proposte formative degli anni 80 soffriva di un impianto fortemente pubblicistico, idoneo più a formare dipendenti pubblici che operatori del non profit. Oggi forse manca un?adeguata offerta per gli operatori, problema ancora più grave con l?esplosione del fenomeno non profit». Quasi una pretesa Le forti motivazioni di chi vuole lavorare nel non profit determinano una maggiore partecipazione e un più diretto coinvolgimento. Ma quali sono le differenze di ruolo della formazione nelle imprese profit e in quelle non profit? « L?ente non profit fa molta più formazione dei soggetti profit: c?è voglia di crescere, di sapere e l?offerta si sta adeguando. Chi vuole avviare un?impresa sociale deve invertire la tendenza e partire dalla base», dice Francesco Dragotta, presidente dell?Accademia Fondazione Catis. «La formazione in un soggetto non profit diventa una necessità e un traguardo. Nel profit se non c?è la prospettiva di fare carriera e non è imposto, il corso non viene preso in considerazione; nel sociale, invece, è quasi una pretesa. Si pensa ?prendo meno però mi formo?». Secondo Wilma Mazzocco, responsabile formazione di Federsolidarietà, «negli ultimi 5 anni la formazione coinvolge tutti i soggetti che, a diverso titolo, operano in un?impresa sociale: programmi di formazione soft interessano anche i volontari e gli obiettori di coscienza. In molte realtà si organizzano momenti formativi per coinvolgere simultaneamente tutti e questo è un ulteriore elemento di differenziazione operativa che distingue le realtà non profit da quelle di mercato». Un esempio di come la formazione sia decisiva lo si ha dalla cooperativa sociale di tipo b L?Utopia, di Gioiosa Jonica, (Rc), 15 soci tra cui 11 ragazzi con disabilità fisiche e psichiche impegnati in lavori artigianali e multimediali. «Il corso per manager del non profit è stato determinante per il decollo dell?attività imprenditoriale», racconta Patrizia Ierace, presidente della coop. «Lì ho imparato a gestire i rapporti con e tra i soci e l?importanza di fare rete».


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