Non profit

Il non profit è cresciuto anche se lo Stato lo ha tradito

di Giuseppe Ambrosio

Per chi, come il sottoscritto, ha avuto l’onore ed il piacere di partecipare alla progettazione ed alla realizzazione della ricerca sul valore economico del terzo settore italiano, non è semplice estrapolare e raccontare in poche righe alcuni tra gli elementi più interessanti emersi. Infatti la ricerca, voluta da UniCredit Foundation con l’obiettivo di fornire agli addetti ai lavori, ma anche all’opinione pubblica, informazioni nuove sull’evoluzione del non profit, basa le sue risultanze su una campionatura estremamente estesa (2.104 organizzazioni intervistate) e su un questionario molto complesso ed articolato, e di conseguenza è ricca di dati.
Mantenendosi però sulla traccia principale della ricerca, cioè sul valore economico, mi sembra opportuno focalizzarsi su quanto emerge chiaramente dal sesto capitolo: il terzo settore italiano ha maturato in oltre dieci anni di attività (dal 1999, riferimento del primo censimento Istat sulle istituzioni non profit, al 2010, riferimento della ricerca) un aumento del 78% del volume dei ricavi passando da 37,671 miliardi di euro a 67,276 miliardi. Quest’ultimo dato è peraltro una stima al ribasso perché è il risultato di un valore medio delle entrate pari a 286mila euro moltiplicato per la numerosità delle istituzioni non profit del 2001 (Istat), successivamente rettificata nel rapporto Cnel/Istat, e pari 235.232 organizzazioni. Infatti, se è vero come è vero che la lista precensuaria delle istituzioni non profit, su cui Istat si concentrerà a fine 2012 per realizzare il secondo censimento generale del non profit, si basa su oltre 430mila soggetti ,allora probabilmente tale valore potrebbe essere ulteriormente rivalutato.
Ma è entrando nel dettaglio della composizione dei ricavi che si scoprono alcune dinamiche interessanti. Mentre da un lato emerge che le entrate dal pubblico (sommando vendite in regime di convenzione e contributi a fondo perduto o su progetti) sono sostanzialmente invariate, dal 37% del 1999 (Istat) al 36% del 2010, relativamente alle entrate da fonti private è stata misurata una decisa variazione nelle componenti interne, su cui converrà in futuro fare delle ulteriori ed approfondite riflessioni.
La fonte di entrata che più si è movimentata, cioè le donazioni da privati che sono passate dal 3% (Istat) al 30% (un risultato impensabile a cui ha contribuito certamente il ruolo delle fondazioni bancarie e quello del 5 per mille), pare abbia prodotto un effetto spiazzamento non sulle entrate pubbliche, quanto su altre fonti da privati: l’autofinanziamento che è passato dal 17% (Istat) all’11%, i ricavi da vendite a privati che sono passati dal 26% (Istat) al 19%, le rendite che sono passate dall’8% (Istat) al 3%. Ognuno di questi elementi dovrà essere opportunamente analizzato poiché se sulla diminuzione delle rendite pesa decisamente la riduzione dei tassi di interesse dell’ultimo decennio, sull’autofinanziamento e sulle vendite ai privati non può essersi trattato solo del peggioramento complessivo del sistema economico.
Approfondendo poi gli elementi contenuti nel 30% di donazioni si osserva come aggregando i dati tra donazioni da individui e donazioni da imprese e fondazioni possiamo finalmente confermare anche in Italia il dato che il fundraising pone al centro della sua attività l’individuo (74% delle donazioni) con un ruolo più marginale per imprese e fondazioni (16% delle donazioni).
Un’ultima informazione sulle entrate viene dagli intervistati che dal 2008 al 2010, analizzando le dinamiche dei propri bilanci, affermano che le donazioni da privati sono aumentate del 6,8%, mentre i contributi a fondo perduto del pubblico sono diminuiti del 9,7%. In questo caso sembra invece molto chiaro (poiché dati della stessa rilevazione campionaria) che i privati hanno sostituito il pubblico nella funzione filantropica. E anche questa è una buona notizia.

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