Non profit

Il non profit cresce e vuole contare di pi

I posti di lavoro sono ormai 690 mila, altri 132 mila arriveranno entro due anni. È un dato di fatto: il Terzo settore crea più occupazione che ogni altra realtà.

di Francesco Maggio

Quanti sono gli occupati nel terzo settore in Italia? 690.000, pari al 3,1% della forza lavoro complessiva ed al 4,9% sul totale degli occupati nei servizi. Sono questi i numeri che aggiornano la ?famosa? ma datata stima di 418.000 addetti (1,8% sul totale degli occupati e 2,9% su quello nei servizi) emersa dal lavoro di ricerca svolto dall?Irs (Istituto di ricerca sociale) nei primi anni Novanta. A stabilirlo, stavolta, è l?Iref (Istituto di ricerche educative e formative), il quale, per indagare le prospettive occupazionali e le potenzialità di sviluppo dell?economia civile in Italia ha realizzato uno studio i cui risultati definitivi sono stati presentati nel corso della mostra-convegno Job & Orienta svoltasi a Verona il 26-27-28 novembre scorsi.

Le prospettive occupazionali del non profit sono, come noto, cresciute considerevolmente negli ultimi anni. Esse, tuttavia, sono rimaste per molti aspetti poco esplorate, in ordine ad esempio alle peculiarità territoriali delle organizzazioni non profit, alle politiche pubbliche necessarie per rendere più efficace la loro azione, ai profili professionali più ricercati, ecc.

L?Iref, proponendosi di colmare, almeno in parte, simili lacune conoscitive ha condotto un?indagine ad ampio spettro su 449 organizzazioni non profit distribuite omogeneamente su dieci sistemi territoriali locali, rappresentativi dell?intera penisola: Como, Padova, Friuli Venezia Giulia, Pisa, Ascoli Piceno, Terni, Benevento, Catania, Reggio Calabria, Sassari.

Le tipologie organizzative analizzate sono state circoscritte a quelle aventi rilevanza economica, concetto (quest?ultimo) definito in base a tre criteri:
1) le organizzazioni devono produrre o erogare beni e servizi. Sono rimasti quindi esclusi tutti gli organismi di terzo settore che svolgono esclusivamente funzioni di protesta, tutela dei diritti dei consumatori, ecc.
2) tali beni e servizi devono essere, almeno in parte, venduti a terzi (cioè una percentuale significativa delle entrate di tali organizzazioni deve provenire o da vendita diretta o da attività commerciali marginali). In base a questo criterio sono state escluse gran parte delle associazioni di volontariato (regolamentate dalla legge 266/91);
3) le organizzazioni devono avere una quota minima di personale retribuito (dipendente o in qualunque altra forma).

Di fatto, così, nell?indagine sono rientrate: le fondazioni, le cooperative sociali (includendo anche alcune cooperative di produzione e lavoro laddove non vi sia redistribuzione degli utili), l?associazionismo pro-sociale (solo per la parte che rispetta i tre criteri menzionati), l?associazionismo di solidarietà o volontariato (anche in questo caso, solo per la parte che rispetta i tre criteri di cui sopra), gli enti non profit che assumono altri status giuridici, come gli enti morali, le ex-Ipab privatizzate, enti e istituti religiosi.
Ne è conseguito che delle circa 150.000 associazioni e 15.000 organizzazioni di volontariato complessivamente presenti in Italia, solo una minoranza è stata inserita nel computo (il 10% delle prime ed il 5% delle seconde) poiché la gran parte di questi soggetti non soddisfaceva i criteri della rilevanza economica. La stima dei lavoratori attualmente inseriti nel terzo settore è risultata così pari a 690.000 unità, distribuiti nel modo seguente: 180.000 nelle associazioni pro-sociali, 9.000 nelle organizzazioni di volontariato, 81.000 nelle cooperative sociali, 420.000 negli altri enti non profit. Essi producono un valore aggiunto di circa 23 mila miliardi pari all?1,6% del prodotto interno lordo ed al 2,6% sul totale del valore aggiunto dei servizi. Per i prossimi due anni, è stato calcolato che i nuovi posti di lavoro saranno 132.000, 52.700 dei quali verranno creati dal settore associativo, 2.600 dal volontariato, 22.700 dalle cooperative sociali e 54.000 da altri enti non profit.

La ricerca ha evidenziato come il non profit costituisca un bacino d?impiego importante per una pluralità di figure professionali (soprattutto nel settore del welfare) specializzate e non, qualificandosi come forza produttiva rilevante nel Paese sebbene sussistano profonde differenze tra le diverse aree territoriali (la media degli occupati nelle organizzazioni non lucrative è, infatti, di 32 unità al nord, 23 al centro e solo 12 al sud) e rimanga da sciogliere il nodo cruciale dell?assenza di una vera concorrenza a causa dell?ancora troppo elevato grado di dipendenza delle imprese sociali dal committente pubblico.

Al riguardo, l?Iref ha chiesto agli intervistati di esprimere un giudizio in merito alle misure legislative e alle linee politiche ritenute molto importanti nel favorire le potenzialità occupazionali del privato sociale. Le risposte ottenute hanno evidenziato come le due misure che raccolgono il maggior consenso siano quelle relative al potenziamento dei servizi e delle infrastrutture ed alla concessione della gestione di servizi pubblici, indicate come ?molto importanti? da poco meno della metà dei rispondenti. A seguire ci sono le politiche relative a contratti di lavoro specifici per il personale dipendente delle organizzazioni di terzo settore e l?accesso ai finanziamenti agevolati scelti da oltre un terzo del campione. In ultima posizione si è collocata la legge sulle Onlus la quale, a giudizio degli intervistati, non inciderà in modo rilevante sulle opportunità occupazionali del terzo settore.

Queste valutazioni costituiscono uno dei principali contributi offerti dalla ricerca in quanto lasciano emergere un quadro chiaro e sistematico dei bisogni reali delle organizzazioni senza scopo di lucro: esse non chiedono tanto provvedimenti fiscali ?di favore?, misure di carattere pseudo-assistenziale, quanto, piuttosto, un insieme coerente di interventi di sostegno concreti per competere su quello che ormai molti definiscono un nuovo mercato: il mercato sociale.

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