Non profit

Il no global e la disfida di Ascoli

A Vallombrosa le Acli hanno chiamato Prodi, Maroni, Rutelli, Cacciari, Revelli, Diamanti e tanti altri a riflettere su un tema che dopo Genova è diventato decisivo.

di Giuseppe Frangi

Le cose vere le si riconoscono dai particolari. A Vallombrosa, dove tra il 31 agosto e il 2 settembre si è tenuto il convegno nazionale delle Acli, questo particolare era nascosto nel titolo, che tra parole di drammatica attualità ne annoverava una di minor impatto: la solitudine. Sì, la solitudine in cui si traduce, nel concreto del quotidiano la condizione del cittadino globalizzato, a ogni latitudine del mondo. Partire dalla concretezza di quel dato è stata una scommessa vincente di Luigi Bobba e della sua squadra. Mettere al centro di tutto ciò che è una grande questione umana e culturale la cosa più fragile e più bistrattata: la persona. Una scelta cosciente, sottolineata, anzi quasi rivendicata con orgoglio, dallo stesso presidente delle Acli in apertura. «Ripartire dalla persona», ha detto Bobba, «perché possa rinascere la comunità e attivare le tante comunità locali perché si aprano al protagonismo dei corpi intermedi». E poi: «Questa sottolineatura degli aspetti psicologici che vivono gli individui, è già di per sé una novità meritevole di attenzione». Non c?è da guardare lontano; basta alzare lo sguardo sulla magnifica piazza di Ascoli che, con un fotomontaggio, campeggiava alle spalle dei relatori e su tutti gli inviti. Chi c?è su quella piazza? E chi c?è, quale coscienza ha della propria vita e della vita di chi gli sta attorno, non importa se vicino o lontano? La piazza è diventata così un po? il luogo di riferimento della tre giorni. L?ha evocata, con toni un po? arcadici, Francesco Rutelli, come modello di una convivenza umana non globalizzata; l?ha brutalizzata Massimo Cacciari, chiedendosi dove fosse la porta che faceva di quella piazza non un rifugio protetto ma aperto al mondo. Ma dire Ascoli è come dire il pianerottolo di casa nostra, la porta del vicino, la faccia di chi ci cammina a fianco: la sfida al modello globalizzato parte dal più piccolo dei rapporti, dalla rete dei contatti quotidiani. Da quella comunità a cerchi concentrici, evocata da Marcello Veneziani, che parte dalla condivisione con chi ci è più prossimo. Ed evocata pure da Ilvo Diamanti quando ha sferzato la platea dicendo che la colpa della globalizzazione era? delle Acli. «Siamo in una fase di perdita dei legami sociali e in questo c?entra la globalizzazione ma c?entrano anche le Acli», ha argomentato Diamanti. «C?entrano quanti partecipano a costruire la società, quanti trattano il cittadino solo come consumatore e quanti non lo incontrano nel territorio dove vive». Perciò, è stato l?invito conclusivo di Diamanti, non istituzionalizzatevi, non pensate troppo in ottica imprenditoriale perché «non c?è democrazia senza attenzione al territorio; non c’è possibilità di dominare la globalizzazione senza associazionismo che crea relazioni». La persona, la sua solitudine, è anche la testimonianza vivente del fallimento di un modello, che pretende di essere l?unico, che non accetta di farsi mettere in discussione, ma che è bene guardare come un modello fragile. Lo ha detto Paul Hirst, docente all?università di Londra, la cui relazione è stata il vero cuore della tre giorni. Se il modello vincente nella realtà mostra tante crepe, è bene pensarne un altro in grado di subentrargli. Un modello che Hirst ha ribattezzato «democrazia associativa», in grado di dare risposte efficaci in una società segnata dalla molteplicità. «E capace di ripristinare le caratteristiche del sistema liberale; ossia un governo limitato e la dispersione del potere in una società che si autoregoli». E come realizzarlo? Con sano pragmatismo Hirst ha invitato a non avere paura: «In fondo il mondo è molto meno globale di quanto pensiate». Piuttosto dimostrate di rispettare le diversità che esistono tra di voi. «Non serve concordare su tutto. In un sistema associativo c?è qualcosa che si condivide e qualcosa che non si condivide affatto. Questo è positivo». La pacatezza e le argomentazioni del professore hanno conquistato tutti gli esponenti delle grandi associazioni chiamati allo stesso tavolo a reagire alla sua proposta. Ha conquistato anche Giorgio Vittadini, presidente della Compagnia delle opere, che con una battuta applaudita ha individuato l?interlocutore della proposta di Hirst in quel grande popolo che «sta in mezzo tra Bush e Agnoletto». E poi ha richiamato il modello della dottrina sociale della chiesa inaugurato dalla Rerum Novarum, l?enciclica di Leone XIII. Papa cattolico e romano, ma che ha trovato l?immediato consenso di Hirst. «Sono stato lieto di sentire parlare della Rerum Novarum, a proposito di mutualità», ha detto in chiusura. «Senza un?etica della solidarietà non si crea un nuovo welfare. Perché nessuno sia escluso». Le opinioni di: Romano Prodi I 200mila giovani hanno posto una domanda di politica che è rimasta inevasa. Negli ultimi anni sono aumentate tutte e tre le grandi ingiustizie sociali del globo: il divario dei redditi nei Paesi ricchi; la differenza di reddito nei Paesi poveri e soprattutto la disparità fra Paesi poveri e ricchi. Ilvo Diamanti Le associazioni devono riconquistare il territorio, smetterla di istituzionalizzarsi. Devono ricostruire il territorio reale, strutturandosi e organizzandosi. Non c?è democrazia senza attenzione al territorio; non c?è possibilità di dominare la globalizzazione senza associazionismo che crea relazioni. Marco Revelli Oggi assistiamo alla dilazione all?intero pianeta dello spazio sociale. Che è quello spazio dove sono contenuti gli eventi suscettibili di condizionare la nostra vita quotidiana. Ciò che avviene in tutto il pianeta è in grado di modificare e influire sulla nostra esistenza. Oggi tutti gli uomini stanno dentro il nostro spazio sociale. Paul Hirst Cercate di aver chiaro il programma che volete condividere con altri soggetti associativi, impegnatevi a discutere e a lavorare insieme. Non serve concordare su tutto. Sulla globalizzazione, non abbiate paura, il mondo è molto meno globale di quanto pensiate Luigi Bobba Il movimento no global dovrebbe evitare di cadere nella trappola di lasciarsi trasformare in soggetto politico, in una sorta di partito anti globalizzazione. Siamo di fronte a un soggetto etico infinitamente plurale, poliglotta, mutevole, che ha nella molteplicità dei linguaggi e delle esperienze di ogni suo piccolo segmento la propria forza.


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