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Il Nilo: fiume della discordia

di Giulio Albanese

Mi permetto di segnalare ai lettori questo Blog una notizia sulla quale potrebbe essere interessante ragionare, riguardante un accordo sul controllo delle acque del fiume Nilo, raggiunto la scorsa settimana tra quattro Paesi africani. Si tratta di Etiopia, Uganda, Rwanda e Tanzania che hanno firmato a Entebbe, nei pressi della capitale ugandese, Kampala, un’intesa per la spartizione delle acque del grande fiume. Un traguardo a metà se si considera il boicottaggio di Egitto e Sudan – che rivendicano i loro “diritti storici” sul complesso del bacino idrografico – mentre altri tre Paesi della Regione dei Grandi Laghi non hanno preso parte al summit ugandese: Kenya, Repubblica Democratica del Congo e Burundi.

Venerdì scorso, l’intesa di Entebbe ha avuto grande risalto sulla stampa ugandese, suscitando peraltro un acceso dibattito; non foss’altro perché, come ha commentato il rappresentante dell’Unione Europea al Cairo, Marc Franco, è preoccupante il fatto che a seguito di questa iniziativa si possa determinare una frattura “in due blocchi tra i Paesi del bacino del fiume più lungo d’Africa”. Di parere diverso è stata Mary Mutagamba, ministro ugandese dell’acqua e dell’ambiente che invece si è detta ottimista sulle prospettive aperte dall’intesa, affermando che anche Khartoum e il Cairo potranno trarre benefici dall’accordo. Sta di fatto che il ministro dell’irrigazione egiziano, Mohamed Nasreddin Allam, ha decisamente smorzato l’euforia dei governi firmatari. Ha infatti replicato, dichiarando che l’accordo non è vincolante per l’Egitto e manca di legittimità internazionale.

Tornando indietro con la moviola della storia, va ricordato che nel lontano 1959 venne siglato un protocollo da Egitto e Sudan che stabilì una quota per l’Egitto di 55,5 miliardi di metri cubi ed un’altra per Khartoum pari a 18,5 miliardi di metri cubi. In questi anni, i Paesi nilotici, tagliati fuori dall’intesa del ’59, hanno naturalmente invocato uno sfruttamento più intensivo del fiume. Una posizione ribadita il 14 aprile scorso a Sharm El Sheik nel corso di un vertice dei dieci ministri degli Esteri dei dieci Paesi in questione. Un summit conclusosi con un nulla di fatto, avendo sia il Sudan che l’Egitto posto il veto a qualsiasi nuovo accordo. In quella occasione il governo egiziano disse chiaro e tondo di essere disponibile al dialogo a condizione che venissero mantenuti i propri diritti acquisiti. Una preoccupazione legata soprattutto alle previsioni degli esperti che stimano, nei prossimi dieci anni, una diminuzione della portata d’acqua del fiume Nilo, con danni gravissimi all’economia nazionale.

Il tema è comunque scottante in termini generali, in relazione al crescente fabbisogno di energia a livello continentale e delle popolazioni dedite all’allevamento del bestiame e all’agricoltura. A ciò si aggiunga il sospetto da parte dei Paesi arabi che l’accordo di Entebbe celi un possibile tentativo israeliano teso a minare il controllo egiziano del Nilo, a scapito anche del regime sudanese. E dire che già nel 1995 Ismail Serageldin, vicepresidente della Banca Mondiale, affermava: “Se le guerre del XX secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del XXI secolo avranno come oggetto del contendere l’acqua”. La posta in gioco è alta nel senso che la gestione di questa interdipendenza rappresenta una delle grandi sfide dello sviluppo umano che la comunità internazionale si trova a fronteggiare nel terzo Millennio. E non solo in Africa.

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