Non profit

Il nemico più ostico? Il sodalizio Stato-mercato

La "santa allenza" che frena i corpi intermedi

di Redazione

La sussidiarietà rappresenta una grande sfida soprattutto per lo Stato e in particolare per le sue articolazioni locali. Può sembrare un paradosso, perché quando la si richiama, spesso con accenti retorici, la sussidiarietà rimanda alla società civile e alle sue diverse forme di autorganizzazione, auspicando il ritiro dello Stato e il suo intervento solo in casi estremi, cioè per coprire le eventuali incapacità dei corpi intermedi. Ma la sussidiarietà non è il laissez-faire liberista: è un principio regolatore basato su una visione gerarchica della società dove il livello superiore si adopera per sostenere la strutturazione e l’operatività di un sistema sociale che ha caratteristiche davvero peculiari.
Il filosofo Mauro Magatti rappresenta la società civile come una membrana che svolge una funzione di separazione da altri ambienti e insieme di gestione degli scambi tra lo stesso Stato, le istituzioni di mercato, il singolo individuo.
Al di là degli slogan è dunque complicato diventare uno Stato sussidiario, forse più che assumere le sembianze di uno Stato federale. Non si tratta solo di affermare l’autonomia delle diverse sfere istituzionali e di sanzionare eventuali invasioni di campo. Occorre dar vita a un contesto giuridico istituzionale, di policy (e prima ancora culturale) che consenta ai cittadini di aggregarsi e di organizzare la propria azione orientata verso la realizzazione di obiettivi di interesse collettivo. In questo senso le risorse spesso reclamate dai sostenitori della sussidiarietà non sono, o non dovrebbero essere, solo quelle economiche ma dovrebbero anche consistere nella possibilità di fruire di forme organizzative ad hoc che invece sono, per ragioni diverse, marginalizzate.
La questione si pone soprattutto quando, come si suol dire, la partita si fa pesante. Quando non si tratta della micro iniziativa – la pulizia del parco pubblico abbandonato, la ristrutturazione di un centro di aggregazione, ecc. – che è lodevole ma anche tutto sommato innocua rispetto agli interessi forti del capitale e della politica. Ad esempio ci sono categorie di beni che solo guardando alla loro denominazione rimandano a una possibile gestione sussidiaria: i servizi pubblici locali.
Oggi risorse come acqua, energia, ecc. sono gestite da società a controllo pubblico magari anche quotate in Borsa. Una specie di santa alleanza tra Stato e mercato che “blinda” una categoria di beni rispetto a qualsiasi possibile gestione da parte dei corpi intermedi. Gestione che peraltro esiste e che funziona bene, come, per esempio, il fenomeno delle cooperative che associano, responsabilizzandoli in veste di proprietari, gli utenti di acquedotti e centrali idroelettriche in alcune aree del Nord Italia. Il fatto che queste forme siano poche e spesso considerate, con superficialità, quasi dei fossili da relegare in contesti come le comunità montane basate su identità etnico-culturali e che ereditano vecchie forme di gestione come gli usi civici, la dice lunga sulla capacità e prima ancora sulla effettiva volontà dello Stato di agire in senso sussidiario. Solo quando queste iniziative si diffonderanno in altri campi e contesti ci sarà veramente e finalmente qualcosa da festeggiare.

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