Politica

Il nazionalismo e le parole giuste per dire Europa

La lettera che Walter Veltroni, ex vicepremier, ex sindaco di Roma ed ex segretario del Partito democratico, ha scritto al direttore de La Repubblica. «L’ Europa che bacchetta la Grecia in crisi e tollera i muri ungheresi non andrà lontano e soccomberà»

di Walter Veltroni

Walter Veltroni oggi (13 maggio 2016) scrive al direttore de La Repubblica una lettera sullo stato di salute dell'Unione Europa. E lo fa partendi da un trattato di Gerolamo Cardano, il De consolatione. «Cardano», scrive Veltroni, «al quale, dice Calvino, la scienza rinascimentale non sembra più «un’unità armonica di macrocosmo e di microcosmo ma un continuo interagire di “caso“ e “necessità”». E aggiunge: «È cominciato il nuovo cammino del sapere umano, volto a smontare il mondo pezzo per pezzo, invece di tenerlo insieme».

Così l'ex segretario del Pd si chiede: «Non è proprio quello che sembra accadere oggi sotto i nostri occhi, famelici e distratti? Il mondo, almeno quello più prossimo, ci sembra ormai persino straniero, irriconoscibile. Mentre qui si discettava sugli ultimi, futili, litigi televisivi, il primo ministro inglese, non l’ultimo della fila, ha detto testualmente: “Possiamo essere sicuri che la pace e la stabilità del nostro continente siano garantite senza dubbio? Vale la pena di correre questo rischio?”. Si dice che sia stata una mossa dettata dall’ansia di evitare una sconfitta delle sue posizioni nel referendum sull’Europa che si svolgerà a fine giugno. A mia memoria era almeno dalla caduta del muro di Berlino, quasi trent’anni fa, che la parola “guerra” non veniva evocata in riferimento a Paesi europei».

Spiega Veltroni che «l’Europa è stato il grande motore ideale del dopoguerra. Mentre la guerra infuriava un gruppo di sognatori realisti, cioè di buoni politici, sognava ciò che in parte si è realizzato: un parlamento unitario, una moneta unica, una banca centrale, l’abolizione delle frontiere. Cose enormi, che hanno acceso speranze straordinarie. Ma ora tutto sembra che si smonti, “pezzo a pezzo”... …L’Europa è malata. Ma non curarla significa davvero rischiare di precipitare in una spirale di tensione i cui nomi, dal Brennero a Calais, già sono frammenti di realtà».

L'ex segretario oggi regista continua nell'analisi spiegando che «Il nostro tempo ha fastidio per la memoria e per la coscienza della storia. Eppure bisogna ricordare che ci sono momenti, nella storia, in cui diventa plausibile ciò che non lo è mai stato. In cui le persone si fanno dominare dall’emotività e dalla paura… …Infatti oggi il vero rischio del nostro tempo è l’usura della democrazia. Sale, di fronte alla difficoltà del carattere processuale della decisione democratica, un bisogno di decisione rapida e semplificata. È un dato, a chi voglia guardarlo, che proprio la democrazia, almeno come l’abbiamo conosciuta, sia oggi sotto una pressione molto forte, stretta nel contrasto tra la velocità della società e la lentezza delle sue complesse procedure. Vogliamo renderci conto che, alle porte dell’Europa, esistono sistemi che negano la libertà di stampa e che trasformano il pluralismo in una finzione? E lo fanno, si badi, con largo consenso elettorale dei loro popoli».

Dunque «l’impossibile diventa plausibile». Cosa fare dunque, fermarsi impauriti? «L’ Europa che bacchetta la Grecia in crisi e tollera i muri ungheresi non andrà lontano» sottolinea Veltroni.

Che non ha dubbi: «O l’Europa diventerà un continente con un governo forte, un ministro dell’Economia unico, con uniche forze di polizia contro il terrorismo ed unico esercito per gestire le crisi d’area o soccomberà…. Perché non accada forse bisognerà ritornare ad altre parole. Scritte guardando il mare, verso un’Europa in fiamme. Parole scritte a Ventotene, da chi “il mondo, voleva tenerlo insieme”. Queste parole: “Costituire un largo Stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, spazzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari, abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli Stati federali le sue deliberazioni, dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l’autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli”. O l’Europa sarà così o non sarà».

da La Repubblica del 13 maggio 2016


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