Cultura

Il muro bucato

Una città che si affaccia sul Pacifico. A 30 chilometri c’è San Diego. Ma in mezzo corre una barriera costruita nel 1994 dagli Stati Uniti.

di Giuseppe Lanzi

Tijuana, agosto
L?azzurro dell?Oceano Pacifico si estende all?orizzonte; le onde battono dolcemente la spiaggia; un branco di delfini gioca a pochi metri dalla spiaggia; un vecchietto col suo carretto vende ? e con successo ? qualcosa che all?europeo sembra assurdo: macedonia di frutta con peperoncino piccante?
Siamo nel Parco dell?Amicizia, metà in territorio messicano, l?altra metà in California. In fondo è normale; siamo al confine tra due Stati che, con il Canada, hanno firmato un trattato di libero commercio e anche i simboli hanno il loro valore: un parco in una spiaggia in comune non può che sottolineare l?amicizia tra due popoli. Non si inganni però il lettore! Già prima di arrivare alla spiaggia, è tristemente evidente un elemento che stona fortemente col paesaggio e con il nome del parco. E non è la macedonia con il peperoncino!

Nove miliardi di dollari
Infatti, il Parco dell?Amicizia, come tutto il confine tra Messico e Stati Uniti, è diviso da un muro metallico e vigilato con sistemi di alta tecnologia e da un esercito di guardie con i loro potenti fuoristrada contrassegnati dalla scritta Border Patrol. Oltre nove miliardi di dollari per l?operazione denominata Gatekeeper. Navi da guerra stazionano a poche miglia e decine di elicotteri continuamente in volo danno l?idea di essere in una zona di guerra. Pochi chilometri, esattamente 20 miglia, separano questa spiaggia da San Diego, sede di una delle più grandi basi della marina militare statunitense.
Siamo a Tijuana, in Messico, una città tagliata da questo muro metallico lungo decine e decine di chilometri. Città strana questa; città costruita in maniera anarchica e sempre in funzione della frontiera; due milioni di persone senza neppure una quantità sufficiente di acqua; case poverissime sulle aride montagne della Bassa California. E il muro, che qui chiamano La Borda, che la attraversa interamente per impedire il passaggio verso gli Stati Uniti d?America.

Un quesito ecologico
Cosa c?è di strano? In fondo gli Usa, soprattutto dopo gli attentati terroristici dell?undici settembre, non fanno altro che difendere il loro territorio. Lo strano sono gli oltre 2.000 morti nel tentativo di raggiungere il Sogno Americano contando solo quelli di nazionalità messicana; una cruenta guerra non dichiarata iniziata non lo scorso anno ma nel 1994, alla fine della Guerra del Golfo. Sì, c?entra anche la guerra del Golfo, o per dirla come andava di moda all?epoca, centra l?operazione Desert Storm.
Infatti alla fine di quel conflitto, gli americani si sono trovati di fronte ad un quesito ecologico: come riciclare le migliaia di lastre metalliche utilizzate nel deserto come piste di atterraggio per i bombardieri? rifonderle come metallo e riutilizzarle? No! Molto meglio utilizzarle come barriera tra Messico e Usa. In fondo anche l?esperienza di Berlino ha insegnato qualcosa?
La barriera non copre l?intero confine: i passaggi nel deserto, dove la temperatura raggiunge i 50°, o nelle montagne oltre i 1800 metri, dove l?escursione termica è terribile e il cammino molto difficile, sono sempre aperti. è proprio quel deserto che siamo abituati a vedere nei film western, o nelle storie di Tex Willer; solo che i serpenti a sonagli, la morte per ipotermia, insolazione, disidratazione e l?impossibilità di chiedere aiuto non sono finti; sono tristi realtà che hanno portato la morte a migliaia di persone la maggioranza delle quali giovanissime; i vecchi, i non abili al lavoro, non provano nemmeno più questa triste avventura.

Braccia per i campi
Ma l?economia americana, non ha bisogno di braccia soprattutto per il settore agricolo? Certo. E grazie a questo passaggio di frontiera a selezione, nei campi arrivano solo giovani forti in grado di passare simili ostacoli. Poi terminato il raccolto o non appena finisece il lavoro loro assegnato, c?è sempre la possibilità di espellerli in Messico. Il quale Messico, per un accordo stretto con gli Stati Uniti ha poi l?incarico di ripsedirli ai paesi di orgine. E inatnto nuovi disperati si affacciano al di qua del muro dopo aver rischiato la loro vita in cambio di un pugno di dollari.
Tijuana da sempre ha rappresentato una grande ?risorsa? per la California: infatti, come tenere calmi le migliaia di soldati della base di San Diego (e non solo loro), soprattutto nel periodo del proibizionismo? Cosa c?è di meglio di una città a pochi chilometri dalla base, non soggetta alle leggi federali Usa? Una delle maggiori risorse di Tijuana è rappresentata dallo sfruttamento della prostituzione e dal commercio dell?alcool e dei medicinali; sì perché i ?gringos? oltre ai ?generi di conforto?, vengono in Messico a comprare quelle medicine che negli Usa sono troppo care (magari grazie ai brevetti delle multinazionali americane).

Sei volte meno
Altra risorsa è rappresentata dalle Maquiladoras: molte industrie Nordamericane hanno infatti aperto degli stabilimenti di assemblaggio in Messico dove, pagando sei o sette volte meno i dipendenti messicani rispetto ai colleghi a poche centinaia di metri, vengono preparati i prodotti per il mercato Usa; all?ingresso di Tijuana un gran cartello annuncia l?ingresso nella capitale mondiale dei televisori: i grandi marchi ci sono tutti! E se non sono a Tijuana, sono in altre città al confine. E sempre pronte a minacciare di andarsene, non appena le autorità messicane pensano di imporre una qualsiasi tassa; sì perché lo sfruttamento è anche esentasse…
La protesta è forte ma senza esito: organizzazioni statunitensi hanno presentato una protesta alla Commissione Interamericana per i Diritti Umani, affermando che l?operazione Gatekeeper rappresenta un abuso in quanto questa nuova strategia massimizza i rischi di perdita della vita da parte del migrante; la protesta si basa sul fatto che tutte le nazioni hanno l?obbligo di proteggere la vita sia dei cittadini che degli indocumentati; la Commissione non è giunta ad una risposta?

Senza far vedere
L?operazione Gatekeeper è stata denunciata anche presso l?Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani; ma pure in questo caso, al di là delle dichiarazioni contrarie all?Operazione, si attendono dei passi concreti. Anche la sezione statunitense di Amnesty International ha protestato richiedendo agli Stati Uniti di esercitare il controllo alle frontiere in maniera conforme alle obbligazioni internazionali.
Ma a chi serve tutto questo? Non certo a bloccare il flusso migratorio. Infatti non vi è nessuna volontà d?impedire l?accesso di manodopera a buon mercato. Per dimostrare l?ipocrisia della politica migratoria statunitense, basta pensare che a partire dal 1994 solo sei imprenditori americani sono stati processati per aver impiegato manodopera clandestina in tutta la campagna californiana nella zona di frontiera!
Allora perché non tornare ai vecchi controlli di frontiera? In questo modo, per lo meno, il numero delle morti verrebbe notevolmente ridotto. Il motivo è semplice e deve fare pensare: il vero obbiettivo di tutta quest?operazione non è bloccare l?immigrazione negli Usa ma toglierla dalla vista della sensibilissima opinione pubblica americana. Il risultato sembra raggiunto. Che costi centinaia, di vittime non è un problema che possa porsi un povero presidente della nazione più potente della terra?
Bene quindi alla spesa di nove miliardi di dollari anche se i risultati sono deludenti e lo stesso San Diego Union Tribune ? giornale tra i principali sostenitori della nuova strategia ? ha potuto affermare che se il fine di Gatekeeper era quello di frenare l?immigrazione, allora è stato un fiasco colossale; ha solo spostato il problema da un?altra parte? e ha provocato la morte di duemila persone.

Coyotes e polleros
In mezzo a tanta sofferenza, non potevano mancare i ?sensali di carne umana?; i ?coyotes?; i ?polleros? che si approfittano di coloro che vogliono passare la frontiera fornendo, dietro pagamento di forti somme, assistenza al passaggio in California. Paradossalmente, proprio il sistema messo in piedi dagli Usa ? con strumenti ad alta tecnologia e apparecchiature da guerre stellari – ha reso indispensabile il ricorso a questi ?esperti? i quali, alla fin dei conti, possono essere considerati i maggiori sostenitori di Guardian.
A Tijuana è ormai divenuto tristemente tradizionale affiggere delle croci bianche al muro (La Barda) per ricordare il nome dei tanti morti; su moltissime appare la scritta ?no identificado?. è un tentativo di sensibilizzazione portato avanti da diverse organizzazioni, tra cui la Casa del Migrante dei Missionari Scalabriniani. La strada che costeggia l?aeroporto già ne conta centinaia; quante ancora dovranno essere installate prima che il governo Usa decida di cambiare la sua ipocrita politica migratoria?

Frutta e peperoncino
In uno studio dell?Università di Houston si legge: «Il costo umano dell?operazione acquista ancora maggior importanza se si considera che la nuova politica non ha raggiunto il suo obbiettivo primario: impedire l?ingresso illegale e ridurre la manodopera indocumentata».
Torniamo alla spiaggia e alla tristezza di quel muro che entra fin nel mare. Il vecchietto è ancora lì con il suo carretto, la sua frutta ed il peperoncino. In bocca il sapore amaro di tutto quello che abbiamo visto; ci facciamo coraggio e proviamo questo gusto così inusuale: la macedonia di frutta con il peperoncino piccante a sorpresa si rivela molto buona.
Ed è , assieme al volto sereno dei volontari incontrati, l?unica cosa positiva che ci resta da questo viaggio.

La Casa del Migrante. Una storia di accoglienza
Istituzione senza fine di lucro, la Casa del Migrante di Tijuana è stata fondata nell?aprile del 1987 dai missionari Scalabriniani per assistere i migranti verso gli Stati Uniti d?America e quelli deportati dalla Polizia di frontiera. Quasi 130.000 le persone assistite in questi 15 anni di vita. da dove provenivano? Fondamentalemente da tutti gli stati messicani, centro e sud America, con alcune presenze da altri paesi europei, asiatici o africani. E negli utlimi tempi il 40% degli ospiti sono gli fortunati espulsi dagli Stati Uniti.
Sono 200 i posti letti a disposizione e tutti riservati ad adulti maschi; a pochi metri esiste un altro centro di accoglienza, gestito dalla Missionarie Scalabriniane; a Casa Assunta, le donne migranti ed i bambini trovano un luogo sicuro e protetto dove trovare riparo.
La casa si sostiene solo grazie al lavoro volontario e a donazioni: centinaia di giovani si sono dati il cambio donando un anno intero della propria vita al servizio dei migranti.
Cinque i servizi principali: 1. assistenza umanitaria; 2. assistenza psico-sociale; 3. formazione e informazione; 4. assistenza legale; 5. coscentizzazione (in collaborazione con il Centro di pastorale migratoria) che in particolare si cura la formazione dei volontari. La presa di coscienza della società sulle problematiche migratorie viene aiutata organizzando eventi, convegni e conferenze .
Da alcuni anni le Casa del Migrante di Tijuana, Juarez, Tapachula in Messico e quelle di Tapachula e Ciudad de Guatemala in Guatemala si sono unite nella Red Casas del Migrante in modo da ottimizzare le forze, ed essere testimoni più incisivi nelle società dove si trovano ad operare:
Red Casas del Migrante Scalabrini

Giuseppe Lanzi

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