Raccontare lo scandalo
Il mondo dietro le sbarre raccontato con strisce e balloon
Nel fumetto "Morire di carcere", scritto per "La Revue", le storie delle persone negli istituti di pena, in 24 pagine. Con le illustrazioni di Ilaria Urbinati, è stato scritto dal giornalista Luca Cereda: «L’obiettivo di questo progetto è di entrare in carcere e raccontare il tema non con i soliti freddi numeri, che sono necessari per comprendere il fenomeno, ma andando un po’ oltre, mettendo a nudo i sentimenti»

«Esiste un immaginario comune del carcere: una visione che ci viene restituita dai film, dalle serie, a volte anche dal giornalismo. Questo racconto, invece, prende forma in un luogo reale, la casa circondariale Due Palazzi di Padova, e dalle testimonianze dei suoi detenuti: Paolo, Mario, Amin e Tommaso». Inizia così Morire di carcere, fumetto scritto per il numero 9 de La Revue Dessinée Italia (diventata La Revue dalla fine del 2024) dal giornalista Luca Cereda, a lungo firma di VITA, e illustrato da Ilaria Urbinati.
Mettere a nudo i sentimenti
«L’obiettivo di questo progetto è quello di entrare in carcere e di raccontare il tema non con i soliti freddi numeri, che sono necessari per comprendere il fenomeno, ma andando un po’ oltre, mettendo a nudo i sentimenti», dice Luca Cereda. Nel fumetto vengono trattati i temi del sovraffollamento, della mancanza di opportunità di lavoro e di attività educative ricreative, la questione degli affetti: a più di un anno dalla sentenza della Corte costituzionale ancora non si svolgono colloqui in intimità in carcere. «Questo fumetto voleva essere una sorta di micro reportage, con dei dati aggiornati al momento in cui è stato scritto, a inizio 2023. Con le immagini di Ilaria Urbinati, disegnatrice di una grande sensibilità».
Il fil rouge con un occhio attento ai dettagli
In 24 pagine «ho cercato di rendere i protagonisti del racconto giornalistico dei personaggi, di dare delle connotazioni che Ilaria Urbinati avrebbe potuto usare per trovare il fil rouge del racconto (filo rosso che si ritrova anche graficamente), facendo molta attenzione ai dettagli. Ad esempio, un ragazzo aveva sempre una tuta della sua squadra del cuore, sia nel colloquio fisico sia nelle due video call, ho indicato di disegnarlo così». Anche nei racconti dei detenuti, «alcuni dettagli, alcune parole buttate lì, sono diventate fondamentali. Un signore mi ha raccontato en passant la storia della figlia che aveva partorito, lui aveva potuto vedere la nipote grazie alla tecnologia, dopo il parto: è diventato il fulcro della storia».

Il racconto di quest’uomo diventato nonno, che vede il nipote per la prima volta con una videochiamata, è stato illustrato da Urbinati con un tablet che fiorisce nelle mani di lui, che è in carcere, mentre parla con le due figlie, e quella che è diventata mamma tiene in braccio il neonato. «Non c’è bisogno che io giornalisticamente spieghi la potenza della vicenda, si vede. L’illustratrice ha preferito conoscere le persone che doveva disegnare solo attraverso la mia penna, per avere ancora più spazio per la fantasia». È molto efficace anche l’immagine dei detenuti che sono come delle isole, collegate da scale rosse che diventano dei ponti tra il dentro e il fuori.
Il carcere-lavatrice non funziona
«Quando una persona mette una camicia sporca in lavatrice, si aspetta che esca più pulita. Se la camicia esce più sporca non è colpa della camicia, ma della lavatrice. Come una lavatrice senza cestello o senza filtro non lava, un carcere senza personale non è in grado di prendere in carico e rieducare le persone. Il carcere-lavatrice inoltre non funziona perché i detenuti sono persone! Sono complesse e sfaccettate, non una camicia da smacchiare! Per tutte queste carenze, la maggior parte delle carceri sono deserte dopo le 15, senza attività rieducative né ludiche». Nei balloon del fumetto, a dire queste parole è Ornella Favero, direttrice della rivista Ristretti orizzonti, la cui redazione si trova nella Casa di reclusione di Padova ed è formata da persone detenute e volontari.

«Favero ha sposato subito il nostro progetto e l’idea di non sentire i detenuti per dire la loro, ma di fare un racconto di persone che sono detenute che fanno anche un giornale del carcere e che raccontano i motivi per cui, dietro le sbarre, le persone si suicidano più di 10 volte rispetto a quella che è la media fuori dal carcere». Il “cuore pulsante” del racconto del fumetto è la redazione di Ristretti orizzonti. «A Padova sono stato nel carcere Due Palazzi diverse volte, i detenuti sono la voce narrante. E sono andato anche nel carcere Bollate di Milano».
Strumento di lavoro nelle scuole
«Quello che ci sta rendendo veramente felici è che questo fumetto è utilizzato come strumento nelle scuole, sia nelle secondarie di primo e di secondo grado. Mi ha contattato, ad esempio, la garante delle persone private della libertà personale della Sardegna, Irene Testa, chiedendomi informazioni su come poter avere Morire di carcere, per lavorarci con gli studenti», racconta Cereda. «Mi stanno invitando, in questi mesi, a degli incontri negli istituti scolastici». La forza di un progetto giornalistico che è anche un fumetto è l’immediatezza, la facile fruibilità e comprensione, anche nei più giovani.
«Il dato uno se lo dimentica facilmente, un’immagine azzeccata no. Ad esempio, Urbinati ha avuto l’intuizione di illustrare la recidiva con il gioco dell’oca: un anello cieco che ti riporta sempre lì. In questo lavoro siamo andati per sottrazione, abbiamo lasciato dei contenuti essenziali giornalistici», prosegue il giornalista. Anche senza leggerselo tutto, «questo fumetto può diventare uno strumento per far ragionare sul carcere, sia chi l’ha vissuto come le persone detenute o ex detenute, sia chi sta fuori e dovrebbe avere l’attenzione al tema. Perché quel che è fuori è anche dentro, e quel che è dentro poi torna anche fuori».

Lo spazio del progetto «si è dovuto un po’ contenere, però il pregio di raccontare tutto in 24 pagine è che abbiamo condensato tutto». Le due pagine finali sono dedicate ad un piccolo approfondimento, con una breve intervista a Mauro Palma, presidente European Penological Center Università Roma Tre.
Illustrazioni di Ilaria Urbinati da Morire di carcere (La Revue). Foto dell’intervistato
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