A casa non abbiamo la televisione vicina al tavolo da pranzo. E’ in un’altra stanza e quando si mangia rimane spenta. Non sono mai stata particolarmente schierata riguardo a bambini e tv, ma mio marito sì: è radicalmente contrario a esporli a qualsiasi programma della tv generalista (e non posso dargli torto). Dei telegiornali, poi, nemmeno a parlarne.
Però, d’estate la faccenda cambia: al mare o in montagna, magari in casa dai nonni. Luoghi diversi, dove il tempo passa diversamente e la televisione è di tutti. E quindi sì, capita che mentre si mangia passi anche il telegiornale (anche perché le vicende d’attualità di questi giorni ti costringono davanti al video, letteralmente).
Ma devo dire che non è per niente facile. I tg sono diventati davvero una cosa da fascia rossa. Nella stessa sera, in scaletta puoi trovare nuove e inedite immagini del camion assassino di Nizza, la sparatoria a Baton Rouge, poi il golpe e le violenze in Turchia e quando si arriva alla cronaca dall’Italia che c’è? Le immagini brutali di un criminale che maltratta un disabile e poi…confesso che alla fine ho spento, in aperta polemica con la nonna, che mi ha apostrofata dicendo: “Mica puoi tenerli sotto una campana di vetro per sempre”.
E’ vero: a un certo punto, quando non sono più bimbi in età da scuola materna, qualcosa devono sapere del mondo, e quel mondo va spiegato. Ma in video l’elenco di cose tremende è troppo esteso, una specie di maratona ininterrotta della morte e della follia.
“Mamma accendi pure, ti assicuro che noi non diventiamo mica violenti”, mi ha detto mio figlio strappandomi un sorriso. Decisamente l’effetto imitazione non era la mia preoccupazione. Io, più che altro, pensavo alla paura che scava nei cuori.
Dopo gli eventi del Bataclan, di cui non avevamo affatto parlato a casa, i miei due bambini che vanno alle elementari (prima e terza) si sono trovati spiazzati da un intervento del preside, che aveva proposto un minuto di silenzio, e da una insegnante che aveva ceduto, involontariamente, alla commozione mostrando le lacrime. Sono tornati a casa turbati, anche un po’ arrabbiati: “Ma tu lo sapevi cos’è successo in Francia?!”.
Allora di terrorismo adesso parlo, anche se è una di quelle cose su cui non puoi dare una spiegazione soddisfacente. Non ha un perché e non puoi nemmeno dire: “Ma a noi non succede, stai sereno”. Infatti il tempo passa, credi che abbiano dimenticato tutto, poi un giorno andando al cinema o al supermercato, a messa o al museo, la domanda fatidica arriva: “E se qualcuno ci fa del male mentre siamo là?”.
Forse non tramite i telegiornali, ma dei drammi nel mondo ormai ho capito di avere la responsabilità di parlare, con i figli: primo perché non voglio più che siano altri a farlo al posto mio. Secondo perché cercando insieme un senso – o constatandone l’assenza – possiamo farci coraggio a vivere la realtà, esserne consapevoli, essere più grati di ciò che abbiamo.
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