Cultura
Il monaco Pantaleo, guardiano del condominio cristiano
Il Santo Sepolcro. La basilica fulcro del cristianesimo è un delicato meccanismo di convivenza. Di Andrea Tornielli
E’ la quarta volta che vengo a Gerusalemme e nel corso di ogni viaggio ho visitato più volte il Santo Sepolcro. Mai come in questi giorni delle festività natalizie, però, nella basilica dove si conservano i resti della tomba trovata vuota dalle donne la mattina di quella domenica di aprile dell?anno 30, è stata evidente la complessità della convivenza tra le varie Chiese cristiane. Il Custode di Terrasanta, padre Pierbattista Pizzaballa, ce lo ha detto: «I cristiani qui sono una piccola minoranza e sono poco credibili perché divisi tra di loro». E i problemi da risolvere, in questi luoghi, non sono le dispute teologiche o le grandi questioni ecumeniche, ma le molto più concrete, e forse per questo difficili, esigenze quotidiane di buon vicinato.
Il Santo Sepolcro è come un antico e fatiscente condominio, dove si affastellano grotte, cripte, cappelle ma anche uffici, appartamenti, piccoli musei e ripostigli, un condominio dove convivono, molte volte a fatica, cattolici latini, ortodossi greci, armeni, copti, siriani ed etiopi. Chiese diverse e, soprattutto, culture e tradizioni profondamente diverse. Ogni centimetro quadrato della basilica più importante della cristianità, ogni pietra, ogni tappeto, ogni chiodo è sottoposto alle rigide norme dello ?status quo?, fissato da centocinquant?anni, che stabilisce quali siano gli spazi, gli orari e le competenze delle varie confessioni che trovano spazio nella chiesa del Santo Sepolcro. Le celebrazioni si accavallano, le litanie armene si confondono con il vespro dei greci ma quando parte ?l?artiglieria? del possente organo cattolico è la musica dei latini a sovrastare su tutti.
La prima volta che arriviamo, è la sera del 31 dicembre. Eccezionalmente, nell?ultima notte dell?anno, il Santo Sepolcro non chiude mai e a mezzanotte c?è in programma il Te Deum dei cattolici latini. Ci mettiamo in fila per entrare a pregare nella tomba vuota, ma non abbiamo messo in conto i regolamenti dello ?status quo?: il monaco ortodosso, con i capelli ricci e bianchi raccolti nel codino, ci riconosce immediatamente e ci spiega che l?accesso al Sepolcro è possibile soltanto per le persone di fede ortodossa. Poi toccherà agli armeni e soltanto alle prime luci dell?alba sarà il turno dei cattolici latini.
È simpatico, il monaco Pantaleo, che sgranando un rosario nero di pietre dure dirige il traffico davanti all?edicola di marmo che custodisce il Sepolcro, rifatta nell?Ottocento e oggi imbracata da una struttura di metallo perché rischia di crollare. Sorride mentre spiega agli italiani che non possono entrare e finché ammette un gruppo di prosperose donne russe con i loro fazzoletti a fiori e i fasci di candele di cera scura nelle mani callose, sciorina agli esclusi la formazione dell?Inter nel campionato del 1975. Ma quando un gruppo di pellegrini veneti si avvicina alla sacra edicola e uno di loro pretende di entrare perché «tutti hanno il diritto di pregare», il buon Pantaleo si trasforma in un cerbero inflessibile e chiama la polizia israeliana che spesso deve risolvere piccole e grandi beghe dei condomini cristiani.
Sta per scoccare la mezzanotte, parte ?l?artiglieria? dell?organo e il canto che sale dalla cappella dei latini, malamente decorata da sculture bronzee confacenti al luogo quanto una tela del Picasso cubista al centro di un?iconostasi bizantina, e si spande tra i fedeli e i turisti che vagano per la basilica esplorandone ogni anfratto. Dietro l?edicola del sepolcro, appiccicata alla parete posteriore, c?è una cappella dei copti egiziani, nella quale è possibile venerare, sotto l?altare, una piccola porzione della roccia esterna della tomba. Il monaco, con la testa incappucciata dal copricapo nero tempestato di piccole croci dorate, invita tutti a sostare in questo metro quadrato. Anche qui, come in molte altre cappelle della basilica, icone, coloratissimi quadri votivi anneriti dal fumo e dall?incenso, croci e medaglie si sovrappongono nella semioscurità.
Mi colpisce la grande icona della Vergine, alla cui estremità i monaci copti hanno sistemato un dozzinale orologio da muro, che noi a mala pena appenderemmo in qualche angolo nascosto della cucina e che qui invece scandisce il lento scorrere delle ore a contatto con la pietra che è stata muta testimone dell?evento che ha cambiato la storia dell?umanità. Mentre si spengono le ultime note del Te Deum, sul tetto del Santo Sepolcro, in una specie di colombaia, i monaci etiopi dai lineamenti nobili e la pelle color notte, continuano a pregare. Il 2006 è appena cominciato e l?aria della notte, nelle vie deserte della vecchia Gerusalemme, è frizzante. In fondo è un miracolo che nonostante tutte le secolari divisioni, scismi e difficoltà ?condominiali?, i cristiani riescano a convivere gomito a gomito in questo luogo santo e affascinante.
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