Salute

Il mistero dell’esclusione di privato sociale e non profit dal progetto degli hub vaccinali

La Protezione civile aveva nei giorni scorsi divulgato delle nuove linee guida per i centri vaccinali introducendo degli hub medi e piccoli in ossequio all'idea di capillarità dell'offerta. Una scelta in linea con la mobilitazione con cui il non profit si è messo a disposizione con sedi e personale. Le Regioni si sono però messe di traverso e nel documento sono rimasti solo i grandi centri. «Stiamo ancora aspettando che qualcuno raccolga il nostro appello», sottolinea Stefano Tassinari delle Acli, mentre Luca Degani di Uneba Lombardia sottolinea «abbiamo un accordo con la Regione che è rimasto lettera morta»

di Lorenzo Maria Alvaro

Dopo alcune ore di polemiche si è conclusa la vicenda delle linee guida per i centri vaccinali. La Protezione Civile aveva varato un documento che introduceva alcune novità, in particolare la costruzione di hub piccoli, medi e grandi. Le Regioni dopo aver espresso le loro perplessità hanno ottenuto una nuova versione da cui scompare ogni riferimento ai piccoli e medi punti territoriali, mantenendo in pista solo le indicazioni per i punti vaccinali grandi, quelli in grado di coprire fino a 800 pazienti al giorno.

L'idea del Governo e della Protezione Civile rispondevano alla logica della capillarità dell'offerta vaccinale sul territorio. Un'impostazione che aveva portato tante grandi realtà del Terzo settore a mettersi a disposizione del Governo. È il caso di Acli che il 9 marzo aveva comunicato la disponibilità ad ospitare nei propri 2500 circoli piccoli centri vaccinali. «Le nostre sedi, da 76 anni sono un punto di aggregazione fondamentale all’interno delle comunità. Per questo abbiamo ritenuto di offrire il loro contributo per superare la pandemia», spiega Stefano Tassinari, vicepresidente nazionale Acli e membro del Coordinamento nazionale del Forum del Terzo settore, «ad oggi però il nostro appello è caduto nel vuoto. Nessuno ci ha mai contattato».

Come Acli anche Arci e Avis, tra le altre, si erano espresse per un coinvolgimento del mondo non profit.

«Noi siamo andati oltre la semplice disponibilità», spiega Luca Degani, presidente Uneba Lombardia, «ma abbiamo addirittura firmato un protocollo di intesa con Regione, inseme ad altre otto associazioni di categoria, approvato dalla dgr XI/4433». Un documento che sanciva come in Lombardia le RSA non profit diventavano centri vaccinali contro il Covid.

«Ad oggi quella delibera è lettera morta», sottolinea amaro Degani, «abbiamo anche chiesto delucidazioni e ci è stato detto apertis verbis che la Regione si sta concentrando sui 70 hub vaccinali già presenti».

Il problema è questa costante incomprensione strategica tra Governo e la maggior parte delle Regioni. «La priorità del Governo, ribadita giusto stamattina dal Generale Figliuolo, è il capillarizzare il più possibile la campagna vaccinale», sottolinea il presidente di Uneba, «il motivo per cui non c'è l'intenzione da parte dei governatori di coinvolgere privato sociale e Terzo settore sta nel ritienere che l'obiettivo principale del piano vaccinale sia quantitativo e massivo».

Un discorso che sarebbe sensato per Degani, «se effettivamente le Regioni, a fronte del numero limitato di vaccini, avessero percentuali altissime di vaccinazioni effettuate sulle dosi disponibili. Ma questo non sta succedendo». Il problema però è un altro: «L'obiettivo oggi non è vaccinare il più possibile ma vaccinare le fasce prioritarie, quelle più deboli. Perché sono persone che, se si contagiano, finiscono ricoverate mandando in difficoltà il sistema sanitario mettendo a rischio anche chi non avrebbe problemi col Covid. A quel punto non avrebbero la possibilità di accedere agli ospedali in caso di necessità per altre patologie».

Il risultato è che molte Regioni non stanno seguendo le indicazioni del Governo e della Protezione civile.

Non solo. «La cosa grave è che questa "discriminazione" non riguarda solo il mondo sociale ma anche il privato for profit», conclude Degano, «in Lombardia la metà della sanità accreditata è privata e il 90% del socio sanitario è privato. Macchine da guerra come San Raffaele e Humanitas hanno detto che sono pronte a vaccinare. Perché non li si coinvolge?».

Sembra infine, da indiscrezioni, che Confindustria Lombardia abbia comunicato a Regione Lombardia di avere la possibilità di fare 180mila vaccinazioni la settimana. Ad oggi non si è registrata alcuna risposta neanche su questo fronte.


Foto di RF._.studio da Pexels

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