Mondo
Il mio sogno? È già tanto essere qui, in salvo
Le testimonianze di due giovani famiglie ospiti di "La tenda di Abramo", la struttura di accoglienza di Amici dei Bambini
Se gli chiedi quale sia il suo sogno ora che è in Italia, Aboubacar ti guarda, quasi sorpreso da quella domanda: «Il mio sogno l’ho già realizzato quasi per intero: essere qui, in salvo, con mia moglie che aspetta un bambino». Il “quasi per intero” è dovuto, perché una parte dell’impresa è ancora da compiere: portare in Europa anche le due bambine che lui e sua moglie hanno per il momento lasciato in Guinea con la nonna paterna. Aboubacar ha 24 anni e un passato da calciatore di buon livello in Libia. Dopo la caduta di Gheddafi, la situazione lì è sprofondata nell’anarchia più totale e la popolazione di colore è diventata il capro espiatorio per delinquenti di ogni tipo: «All’improvviso ti entra gente in casa spacciandosi per poliziotti e ti ruba tutto ciò che hai», racconta Aboubacar. «Se non hai quello che ti chiedono ti uccidono. Ci sono molti gruppi politici in lotta tra loro, basta incontrare per strada un membro di un gruppo opposto al tuo ed essere riconosciuto come appartenente a una delle fazioni rivali e ti possono sparare senza farsi tanti problemi».
È da questo mondo di atrocità e violenza che Aboubacar e sua moglie sono scappati. Lo hanno fatto come centinaia di altri migranti africani, a bordo di una delle tante carrette del mare che tentano di solcare il Mediterraneo. Ai due giovani guineiani è andata bene: sono stati soccorsi prima che accadesse il peggio, sono giunti incolumi nel porto di Catania e da lì trasferiti in provincia di Milano, ospiti del centro di accoglienza “La Tenda di Abramo” di Amici dei Bambini. Una palazzina come tante dell’hinterland milanese che al suo interno nasconde un calore che chi ha dovuto fronteggiare violenze di ogni genere e un viaggio a contatto con la morte, forse neanche sognava più. Ecco perché Aboubacar il suo sogno dice di averlo già realizzato quasi del tutto.
Insieme a lui incontriamo Lateef, 26enne nigeriano, anche lui con la passione per il calcio. Arriva da Lagos, dove lavorava in un ristorante. Nella sua città a Pasqua 2012 è iniziata una serie di rapimenti indiscriminati. «Prendevano le persone, uomini, donne, bambini – racconta in inglese fluente –, le portavano nelle foreste e di loro non si sapeva più nulla». Anche lui ha deciso di fuggire con la sua donna. Il passaggio dalla Libia è durato circa 2 anni e poi, finalmente, la partenza per l’Italia. Dopo 4 giorni in mare, la nave che li ha soccorsi li ha fatti sbarcare in Calabria. Quindi il viaggio verso Milano: prima all’oratorio di Bruzzano e poi alla “Tenda di Abramo”. Sono stati proprio loro due i primi ospiti della struttura. Anzi, loro tre: perché anche la moglie di Lateef è incinta di un bambino, la cui vita, quantomeno, inizierà al sicuro.
Lateef e Aboubacar sono due di quelli che ce l’hanno fatta e che probabilmente ce la faranno anche in futuro. Hanno fatto richiesta di asilo, continuano ad allenarsi sognando di poter fare i calciatori anche nel Paese di Totti e Buffon, coltivano l’amore all’interno della loro famiglia e aspettano con ansia che i loro figli vengano al mondo. Un mondo in cui, finalmente, non hanno nulla da temere. E in cui i colpi di scena, almeno per ora, sono stati tutti positivi: come l’arrivo alla “Tenda di Abramo” di un’altra coppia di profughi che, appena entrati, sono corsi ad abbracciare Aboubacar e sua moglie. Erano insieme durante quegli interminabili mesi in Libia, in balìa degli scafisti, che caricavano sui barconi chi poteva pagare di più e lasciavano a terra gli altri. Anche loro ce l’hanno fatta e ora hanno ritrovato i loro compagni di viaggio.
La giusta accoglienza, oltre a salvare, unisce. I loro racconti sono la migliore testimonianza di come “La Tenda di Abramo” sia una struttura d’accoglienza a misura di famiglia. Piccoli numeri – non più di 8 nuclei familiari per un massimo di 20 persone – ma grande calore e attenzione a ogni necessità di ciascun ospite. Un’accoglienza più degna anche se più onerosa. Ma necessaria per prevenire i brutti episodi legati all’immigrazione di cui troppo spesso si legge. Per sostenerla, Ai.Bi. ha attivato un Sostegno a Distanza specifico: un atto di generosità per un’accoglienza più giusta.
Foto GIOVANNI ISOLINO/AFP/Getty Images
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