Mondo

Il mio sbarco a Gaza

Parla l'unico italiano tra i 50 della missione non violenta sulle barche approdate sulla Striscia

di Daniele Biella

“Un’euforia inimmaginabile. A Gaza sabato le nostre barche sono state accolte da decine di migliaia di persone in festa. E in questi tre giorni stiamo ottenendo risultati incredibili: scortiamo i pescherecci a pescare al largo, mettiamo in rete fra loro le ong locali, facciamo pressione agli ospedali israeliani affinché accettino di curare malati gravi palestinesi”. È un fiume in piena Vittorio Arrigoni, 33enne di Bulciago (Mi), nel descrivere a Vita i giorni forse più importanti della sua vita: unico italiano fra la cinquantina di pacifisti da tutto il mondo che, con una missione non violenta senza precedenti, ha raggiunto la Striscia di Gaza con due piccole barche partite dalla Grecia a inizio agosto. Lo scopo? “Portare solidarietà alla popolazione locale che vive ai limiti della povertà, sconvolta dall’assedio dell’esercito israeliano e dalla lotte interne dei movimenti politici palestinesi”.

Di fatto, da quando, a fine 2005, gli insediamenti di coloni sono stati smantellati, la Striscia è diventata un’immensa enclave, dove un milione e mezzo di palestinesi vivono in 360 chilometri quadrati e la disoccupazione ha superato il 70%. “Noi con le nostre imbarcazioni Liberty e Free Gaza (questo il nome dell’iniziativa, sito web www.freegaza.org), siamo stati i primi a poter entrare a Gaza senza passare da Israele, non succedeva da due anni”. La Marina israeliana, infatti, controlla anche le acque al largo della Striscia. “Non pensavamo che ci avrebbero lasciato passare, invece così è successo”, continua Arrigoni. Il Governo israeliano ha preferito, dopo giorni di minacce di blocco, non ostacolare gli attivisti, “per non fare una brutta figura internazionale”. Conosce bene i modi dell’esercito israeliano, il giovane milanese: a Natale 2005 era stato detenuto per sette giorni all’aeroporto di Tel Aviv, picchiato e rimpatriato in Italia “solo perchè, all’ingresso in Israele, avevo dichiarato che sarei andato nei Territori palestinesi a partecipare a un seminario sulla non violenza”.

Da quel fattaccio, Arrigoni non può più mettere piede in Israele. Ma a Gaza è ora accolto come un eroe e proprio oggi, a lui e agli altri internazionali, l’Autorità palestinese ha concesso la cittadinanza onoraria. “Centinaia di persone ci fermano per  stringerci la mano, per dirci che siamo i loro liberatori e ringraziarci per aver fatto breccia nel silenzio mediatico generale, che nasconde la situazione della Striscia al mondo”. Il pacifista ha concesso, infatti, almeno una decina di interviste a media di paesi arabi, “che finalmente capiscono che il problema della Palestina riguarda anche loro”, ma soprattutto cerca di compiere più azioni umanitarie possibili: “la più eclatante è stata ieri, quando con una delle due barche abbiamo scortati sette pescherecci di Gaza a pescare a dieci miglia dalla costa, quando normalmente non vanno al di là di due-tre miglia perchè la Marina israeliana li blocca”. E com’è andata? “Hanno raccolto sei volte la quantità di pesce giornaliera, è stato un trionfo”. E la Marina? “Si è limitata a posizionare le navi da guerra sulla nostra rotta, senza mai però passare a provocazioni più serie. Mentre pescavamo ci hanno circondati, sembravamo piccoli pesci attorniato da un branco di enormi squali”.

Domattina il grosso degli attivisti ritornerà a Cipro con le due barche e una decina di cittadini palestinesi con in documenti in regola per l’espatrio (metà di loro sono studenti che hanno un borsa di studio per gli Stati Uniti) ma a cui le autorità israeliane hanno negato l’uscita dalla Striscia. Arrigoni invece ha deciso di rimanere a Gaza e dintorni “a tempo indefinito”. Oggi ha incontrato molte ong locali, che hanno reso possibile il loro viaggio organizzando la loro accoglienza una volta a Gaza. “Qui le ong simpatizzano per uno o per l’altro partito palestinese, che per Hamas, chi per Fatah, che sono in costante lotta fra loro. Ma grazie al nostro arrivo si sono ricompattate, è una vittoria anche questa, speriamo sia da esempio per i piani più alti”.

Domani, invece, farà parte del gruppo che, Lauren Booth in testa (la cognata di Tony Blair, giornalista e membro dell’equipaggio di Free Gaza), tenterà di passare dal check point del valico di Rafah con alcune donne palestinesi gravemente malate di cancro che da mesi, inutilmente, aspettano un lasciapassare da Israele per recarsi negli ospedali al di là della frontiera. “La nostra presenza non violenta qui è davvero preziosa, per questo non dobbiamo perdere ogni occasione utile per portare benefici alla popolazione che soffre”.

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