Cultura

Il mio Ramadan

Due giovani musulmane d'Italia raccontano il loro 'mese sacro', iniziato venerdì sera

di Daniele Biella

“Ho 26 anni, è la prima volta che faccio il Ramadan in piena estate: sono preoccupata per il caldo, ho paura di non farcela fisicamente. Ma sono molto motivata, per questo la fame e la sete passeranno senza dubbio in secondo piano”. Rassmea Salah, giovane italo-egiziana che oggi vive a Milano, ha le idee chiare per quello che si appresta a compiere dalla sera di venerdì 21 agosto in poi, per un mese intero. Lei, come la maggior parte degli 1,2 milioni di musulmani d’Italia, è pronta per affrontare il rituale sacro dell’Islam, il Ramadan, appunto, che prende il via come ogni anno con la comparsa della luna nuova (leggi qui). “Ma sempre dieci giorni prima rispetto all’anno precedente, per questo l’ultima volta che era d’estate, 30 anni fa, io non ero ancora nata”, spiega Rassmea, che la scorsa primavera si è laureata in Studi arabo-islamici all’Orientale di Napoli ed è ora in attesa di cominciare un dottorato. In tutto, trenta giorni senza bere e mangiare dall’alba al tramonto. Ma come si fa? “Si fa e basta, e l’esperienza aiuta, dopo qualche ramadan alle spalle la mente si abitua fin da subito al digiuno”, interviene Imane Barmati, 25 anni, nata in Marocco e in Italia da 12 anni, dove studia Economia politica. Sia Rassmea che Imane sono collaboratrici di Yalla Italia, il mensile delle seconde generazioni nato nel 2008.

Rinunce, ma non solo. “E poi oltre alle privazioni, il Ramadan è una grande festa”, ribadisce Imane, “una sorta di Natale che dura 30 giorni, con cene serali sontuose e piene di gente: familiari, amici, conoscenti”. In alcune occasioni, soprattutto nei paesi islamici, si invitano anche i poveri alla propria mensa, perchè nel mese di Ramadan l’aiuto ai bisognosi è una delle priorità, “sullo stesso livello della correttezza morale: non dire bugie, evitare i litigi in famiglia, non pensare male degli altri: è una sorta di purificazione interiore”, riprende Rassmea. E se sgarri? “Dovresti recuperare il giorno, o i giorni, alla fine del mese”, spiega Imane, che domani mattina avrà “la prima sveglia alle 4, per la colazione prima che sorga il sole”. Poi si torna a letto? “Generalmente no, ci si prepara per la giornata, io ad esempio studio, e si prega”. Durante il Ramadan, ai cinque momenti di preghiera canonici si aggiunge il Tarawih, la lettura di una delle 30 parti (una per ogni giorno del rituale) del Corano. “Si può scegliere se pregare o meno, comunque”, puntualizza Imane, “io ad esempio seguo il Ramadan ma non prego, perchè ora non sono praticante, non sento di avere ancora la giusta motivazione”. E lo fai lo stesso? “Sì, perchè partecipare è un segno di rispetto per l’Islam e anche un buon esercizio interiore, una messa alla prova”. Rassmea, invece, parteciperà al momento del Tarawih e, per la prima volta quest’anno, si recherà a recitarlo in moschea, in quella di Segrate. “Prima lo facevo a casa, ma quest’anno ho voglia di provarci a contatto con gli altri, per questo andrò anche agli incontri dei giovani della Comunità islamica”.

Lo sguardo degli altri. Gli amici italiani cosa dicono del vostro ‘mese particolare’? “La  maggior parte sono curiosi, e tutti ci rispettano”, racconta Rassmea, “anche quando ero alle medie e alle superiori succedeva lo stesso”. Da che età si comincia a fare il Ramadan. “Dall’inizio della pubertà”, riprende Imane, “per questo, ad esempio, i miei due fratellini più piccoli, di 8 e 13 anni, non lo fanno”. E i vostri genitori? “Mia madre lo fa, mio padre invece no, perchè ha il diabete, e chi ha problemi fisici gravi è esentato dal compiere il mese sacro: Dio infatti chiede che nessuno faccio uno sforzo eccessivo, che danneggi il proprio corpo”, spiega Imane. “I miei sono divorziati, lo fanno entrambi ma in modi completamente diversi: mia madre, italiana di fede musulmana, lo segue qua a Milano ma in forma moderata”, prosegue invece Rassmea, “mio padre e il resto della mia famiglia lo fa in Egitto, e là è tutta un’altra cosa”. Perchè? “Perchè, essendo tutti musulmani e non una minoranza come qui in Italia, le città sono addobbate a festa, dolci e buoni odori sono dovunque, la gente si fa gli auguri di Ramadan karim (‘Che il Ramadan sia generoso con te’, ndr) per le strade”. Meglio seguirlo in un paese musulmano, quindi? “Sì e no”, ammette Rassmea, che ha vissuto in Egitto dai 6 ai 10 anni e ci torna spesso, “sì per i motivi che ho detto poco fa. No perchè, soprattutto negli ultimi anni, non si aspettano i tre giorni finali per la gran festa ma ogni sera c’è qualcosa, e l’aspetto spirituale passa in secondo piano, diventando quindi più commerciale”. Ma non è tutto. “Inoltre, il Ramadan qua in Italia ha per me un sapore speciale, perchè essendo una minoranza, ci si sente più uniti”.


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