Economia

«Il mio percorso? Un affare di… cuore»

Nella terza puntata della nuova rubrica di VITA, Elena Busetto, sustainability & philanthropy lead di Medtronic Italia, racconta le tappe principali del suo viaggio professionale partito dal mondo della biologia marina e approdato a quello della sanità. Sempre alla ricerca di quello che oggi chiamiamo impatto sociale

di Nicola Varcasia

Alla fine degli anni ’50 un ingegnere americano inventò il pacemaker. Dopo alcuni anni, in Italia, a una giovane signora venne impiantato, tra le prime in Italia, uno di questi rivoluzionari creatori di impulsi elettrici salva vita. La terza puntata de I volti della sostenibilità non poteva che partire da qui. O meglio, da Elena Busetto, che oggi lavora in qualità di sustainability & philanthropy lead nella sede italiana dell’azienda americana Medtronic il cui fondatore, con la sua scoperta, ha dato una svolta nella cura delle persone con problemi cardiovascolari. Tra loro, c’è anche quella signora italiana che anni dopo, guarda caso, divenne sua nonna.

È solo una coincidenza?

Certamente no! È stata la molla per cui ad un certo punto del mio percorso ho deciso di inviare il curriculum proprio a Medtronic.

Prima che cosa ha fatto?

Nasco professionalmente come biologa specializzata in ecologia. Dopo un inizio nella biologia marina, sono diventata ricercatrice nell’ambito della tecnologia medica, lavorando presso Area science park, il parco scientifico e tecnologico di Trieste. Dopo una prima esperienza in azienda, il cuore – è il caso di dirlo – mi ha spinto verso Medtronic, dove ho iniziato lavorando nel campo della ricerca clinica per il diabete.

Qual è stato l’excursus che l’ha portata ad occuparsi di sostenibilità tout court?

Per 12 anni mi sono occupata di government affair ed è stato un passaggio fondamentale. Si tratta di un ruolo che permette di specializzarsi nel rapporto e nella gestione degli stakeholder che, nel settore sanitario nel quale operiamo, è particolarmente importante. E lo è anche rispetto alla figura che si occupa di sostenibilità, chiamata ad essere trasversale con tutti, all’interno dell’azienda e fuori.

Come si è evoluto il suo ruolo nel tempo?

La trasversalità di cui dicevo mi ha portata a seguire anche i rapporti con il mondo delle associazioni dei pazienti, essenziali per la nostra strategia che mette il paziente al centro. Rientrata dalla maternità nel 2011 sono diventata anche la referente italiana della Fondazione Medtronic, che si dedica alla filantropia, alle donazioni e alle iniziative di volontariato in azienda. Il mio ruolo è quello di civic engagement lead che ho l’onore di condividere con solo altre nove persone in tutto il mondo. Si è così alimentata in me una passione, peraltro mai sopita, verso i temi dell’impatto sociale e dell’intero ambito della sostenibilità.

Dal suo percorso, sembra di capire che “sostenibili” un po’ si nasce, ma anche si diventa.

Io ho avuto la fortuna di lavorare con un amministratore delegato, Michele Perrino (oggi vice president western Europe, ndr) molto avveduto che, negli ultimi cinque anni, ha costruito una nuova strategia della sostenibilità incentrata sulla creazione di una cultura di sostenibilità e misurazione dell’impatto. Questa lungimiranza ha creato un grande spazio di sviluppo e abilitazione al cambiamento nei processi aziendali e nelle persone. Dal mio lato, ho continuato a formarmi, aggiungendo al master in business management che avevo frequentato in passato un percorso executive per i professionisti della sostenibilità, rivelatosi importantissimo.

Per voi dunque la formazione ha un ruolo chiave?

Come azienda, dialoghiamo costantemente con il mondo universitario per preparare i nuovi professionisti al mercato e all’evoluzione della sostenibilità nel mondo industriale e personalmente ritengo che sia fondamentale per generare innovazione e valore aziendale e personale.

In che modo vi rapportate al Terzo settore?

Medtronic opera in 70 aree terapeutiche suddivise in quattro macroaree: cardiovascolare, medical surgical, neuroscience e diabete. In ognuna di queste aree, la collaborazione con le associazioni dei pazienti è fondamentale. Sono ben 84 le realtà del Terzo settore nostre partner, tra cui Cittadinanzattiva, Parkinson Italia e Favo (Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia). Con loro ci impegniamo in campagne di awareness e prevenzione, ma anche con iniziative per incrementare l’accesso equo e condiviso alle cure, abbattendo ogni barriera di tipo fisico, economico e sociale per quanto è nelle nostre possibilità.

Perché un’azienda dovrebbe aggiungere agli obiettivi economici anche quelli di sostenibilità ambientale e sociale?

Io credo profondamente nella sostenibilità, intesa come possibilità di risolvere i problemi attuali per permettere a chi verrà dopo di noi di risolvere i propri: ogni generazione ha infatti il compito di garantire a quelle successive, per quanto possibile, di avere tutte le condizioni per vivere nel miglior modo possibile. Ma questa è la conditio sine qua non anche per lo sviluppo di un’azienda: da qui nasce la correlazione tra l’operato di un’impresa, la sua crescita, la sua prospettiva e l’impatto che genera in termini ambientali, sociali e, nel nostro caso specifico, di promozione e garanzia della salute. Al tempo stesso non si può andare incontro ai bisogni delle persone senza una governance etica.

Quale sarà negli anni a venire il ruolo di chi fa il suo lavoro?

La nuova direttiva europea sulla rendicontazione e sulla tassonomia sta facendo compiere un ulteriore sforzo nella direzione della sostenibilità, seguendo, in questo, il percorso intrapreso dall’Onu con gli obiettivi di sviluppo sostenibile. Già da alcuni anni si sta cercando di rendere un po’ più strette le maglie per portare le aziende in questa direzione: il ruolo del sustainability manager o comunque di chi si occupa di sostenibilità è sempre più chiaro: aiutare l’azienda e le persone che vi lavorano a lavorare sempre più in un’ottica Esg in equilibrio e integrata con quella finanziaria, un cambio di paradigma importante.

In un settore così delicato e importante come quello della sanità che cosa significa?

Significa valutare i risultati ottenuti in termini di impatto sociale, ambientale ed economico, tenendo assieme e orientando i vari fattori dell’attività al loro scopo primo e ultimo.

Qual è?

Il paziente. Tutto il nostro lavoro è volto ad alleviare il dolore, ridare salute e prolungare la vita. Il nostro impegno quotidiano ha come obiettivo il miglioramento delle condizioni delle persone con patologie croniche, in collaborazione con tutti gli stakeholder coinvolti, a partire dalle associazioni dei pazienti. L’ascolto dei loro bisogni è fondamentale per accompagnare questo mondo sanitario a rispondere ai bisogni delle persone con patologia e dei loro caregiver. Ma è altrettanto fondamentale garantire qualità e sicurezza dei prodotti che produciamo, generare innovazione sempre più vicina alle esigenze delle persone e dei sistemi sanitari per un approccio sempre più equo e democratico alla sanità.

Come dovrebbe cambiare il sistema sanitario?

È un discorso molto ampio e non penso di poterlo sintetizzare in una battuta. Una prospettiva verso la quale tendiamo e che riteniamo essere la base per un sistema sanitario più sostenibile e più focalizzata sui bisogni della persona è quella del cosiddetto Value based health care: è la declinazione, anzi, rivoluzione all’interno del sistema sanitario nazionale e dell’azienda della visione di Porter per un passaggio da una remunerazione basata sulle procedure, cioè su quante attività (visite, esami, interventi) vengono svolte per curare una persona come accade oggi, ad una remunerazione basata sugli esiti delle cure e quindi il benessere della persona in cura, sul risultato di salute.

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