Cultura
Il mio Pd alla fiorentina
Matteo Renzi: «Non hanno colpe ma sono tutti uomini del prima»
«La politica non è quella dei divieti, ma è quella dei chioschi di lampredotto intorno a cui si ritrova la comunità». Il modello? «Il La Pira che regalava libri ai ragazzi» «L’Obama italiano», come lo ha definito la rivista Time, alias Matteo Renzi, classe 1975, è fiorentino doc, e dallo scorso 25 giugno è diventato sindaco della città più bella d’Italia. Renzi, enfant prodige dei Popolari prima, della Margherita di Rutelli poi, del Pd di Veltroni, Franceschini e chi mai verrà dopo di loro oggi, è uno che “ti riconosce” anche solo parlandoti al telefono. Che ti chiede “come va” e ti tratta come se lo avessi salutato dieci minuti prima. Veltroni, era così. Poi s’è perso. Speriamo di cuore che Renzi – educatore scout per convinzione ed ex arbitro di calcio per passione – resti com’è, dentro quella politica nazionale che ha già vissuto da protagonista. Per accertarlo, potete contattarlo facilmente per email o su Facebook.
Vita: Sindaco, ho idea che la sua visione sia di una sana deregulation di sinistra. Al fianco dei cittadini. Di fronte al divieto imposto dall’Unione Europea contro i “trippai” fiorentini, i chioschetti dove si può mangiare i “lampredotti”, e cioè panini squisiti e ben imbottiti, e bere un lambrusco, causa “i danni da alcool”, lei è sceso in piazza senza pensarci due volte. Da “disubbidiente”?
Matteo Renzi: Non saprei dirle se questa mia posizione è contro una visione da sinistra tradizionale o meno, so però che è solo liberando le energie delle persone e di una comunità che si può affrontare la sfida che ha di fronte una città come questa, quella contro il degrado, i rifiuti, la sporcizia, il brutto. Da questo punto di vista, credo che la forma più alta d’inciviltà e di degrado è quella che colpisce i rapporti umani e che la cosa più importante, invece, è quella di riscoprirsi popolo, comunità. Trovo assurdo che la Comunità europea dica sì all’hamburger e no al lampredotto! Ecco perché ho lanciato una piccola e pubblica sfida, all’Unione europea e alla mia città, quella del lampredotto. E anche del bicchiere di lambrusco, che fa bene e che non ha senso vietare. «Mangiate e bevete?», ho detto ai miei assessori. Io l’ho detto e l’ho fatto. Lo faranno anche loro. Del resto, non esiste fiorentino capace di sopportare il divieto a non deliziarsi. Eppoi, la verità è anche un’altra, e cioè che i chioschetti sono un’istituzione sociale. La bancarella è un presidio, dove in alcuni quartieri la gente si ritrova, come un circolo Arci o una Casa del Popolo. Né è un caso che in uno dei manifesti elettorali di quando mi sono candidato ci fosse la foto di uno dei trippai più famosi della città, quello di Sant’Ambrogio?
Vita: Però c’è stato anche un altro centrosinistra, al governo della città di Firenze, quello di Domenici. E soprattutto dell’assessore Graziano Cioni. Era tutto un inno a “legge e ordine” contro barboni, immigrati, tossicodipendenti, ambulanti, abusivi e chi più ne ha ne metta. Una bella differenza, no?
Renzi: Di Cioni sono amico. Con lui ho tante affinità e anche tante differenze. Di certo ci sono facce nuove oggi, a Palazzo Vecchio. La giunta è fatta solo da dieci persone, cinque uomini e cinque donne. L’età media è di 40 anni. La discontinuità con il recente passato, dunque, è radicale. Per quanto riguarda le iniziative prese da Cioni, una – il regolamento della polizia municipale – era sbagliato, eccessivo. Molto meglio mettersi in gioco, con i cittadini di Firenze. Il problema non è l’ordinanza, ma essere ordinati dentro di sé. Ecco perché, per dirne un’altra, ho tolto agli ausiliari della sosta il potere di comminare multe. Era una delle cose che funzionavano meglio, peraltro. Ma non si poteva sopportare l’idea che, come ti muovevi, prendevi la multa per qualsiasi ragione, anche sciocchezze. Questo non vuol dire, bada bene, che Firenze diventa la città dell’illegalità diffusa, una città-Eldorado senza regole né divieti, dove tutto è possibile. Semplicemente, trovo sbagliato “far cassa” con le multe ai cittadini.
Vita: Restando ancora a Firenze: avete passato una campagna elettorale a discutere di “tramvia sì, tramvia no”? Cosa ne farà, ora che è sindaco?
Renzi: Si è trattata di una discussione puramente ideologica, per come è stata affrontata in campagna elettorale. In linea di principio sono contrario al fatto che al privato vadano tutti gli onori e al pubblico tutti gli oneri, insomma che al pubblico restino da affrontare solo spese e problemi, e guarda che lo dico da liberal di sinistra. Per quanto riguarda il tracciato, troveremo presto soluzioni.
Vita: Firenze e il volontariato, il terzo settore, il non profit: un rapporto antico, storico direi. Che farà?
Renzi: Come lei ben sa, perché per Vita mi ha seguito in iniziative di anni lontani e tempi non sospetti, quella è casa mia. Io vengo da lì. Ma Firenze mi aiuta e mi aiuterà non poco: vede, questa è la città che ha inventato le Misericordie d’Italia, che ha costruito le più forti esperienze di Società Operaie di Mutuo Soccorso, che ha sperimentato e reso uniche al mondo le Case del Popolo, Arci eccetera. Oggi, però, la solidarietà e il mondo del volontariato e del non profit si devono e possono declinare in modo nuovo e innovativo: per me, questo modo nuovo si racchiude in una parola, sussidiarietà. Una parola che tuttavia va declinata, non declamata. Vuol dire affidare al privato sociale asili nido, assistenza agli anziani, nuove soluzioni del welfare sociale e della cura delle persone. Vuol dire operare una frattura culturale che si opponga al gap e alla separatezza tra giovani e anziani, alla follia della cultura dell’io, dell’individualità sfrenata. Al terzo settore non bisogna chiedere aiuto, il terzo settore deve essere e dirsi protagonista della città in cui vive, del suo risveglio e rinascita.
Vita: Sindaco, a proposito di “cultura dell’io”, a occhio pare che nel suo partito, il Pd, abbondi, di questi tempi. So che non ha voglia di parlarne, che ancora non ha detto con chi sta “l’Obama italiano…
Renzi: Lasciamo stare le fesserie come quelle dell’Obama italiano, la prego. Il motivo per cui ancora non mi sono schierato è molto semplice, e riguarda la mia città, Firenze. In campagna elettorale mi hanno accusato di volermi candidare solo per poter fare “il salto” a Roma. Come vede, è dal primo giorno che mi occupo di tombini e vigili urbani, lampredotti e ferrotramvie. E di questo voglio continuare ad occuparmi. Ma anche di far sventolare, a Palazzo Vecchio, un drappo verde in onore di Nora, la ragazza trucidata a Teheran dagli ayatollah. Come di dire alla Cina che non si violano i diritti umani in modo così sistematico. Ecco, questa è la mia idea di politica.
Vita: Sindaco, il Pd?
Renzi: Mi limito a dirle che non si può gettare la croce addosso a nessuno, tra quelli che si sono candidati a guidarlo. C’erano tutti, proprio tutti, anche “prima”, quando le cose andavano e sono andate male. Dire oggi che si poteva fare di più e meglio non se lo può permettere nessuno. Né Franceschini né, tantomeno, Bersani o Marino o altri ancora. E lo dico da teorico del rinnovamento.
Vita: Vabbé, ho capito. Finirà per diventare un novello La Pira, compagno Renzi?
Renzi: Guarda, se mi paragona a Obama le rido in faccia, se mi paragona a La Pira le rispondo così: La Pira, per molti fiorentini di ieri e di oggi, è diventato “un santino”. Per me, semplicemente, era un santo. Come sa, i santi bisogna lasciarli in pace. Però una cosa mi sento di dirgliela. La mia tesi di laurea l’ho fatta su La Pira sindaco, non su La Pira uomo di pace che ha portato il nome di Firenze in tutto il mondo, come pure mi piacerebbe che questa città tornasse ad essere, dagli Usa alla Cina. E cioè su La Pira delle ordinanze comunali, dell’attenzione, del dialogo e del rispetto per le delibere, le ordinanze, gli atti amministrativi. Che però vuol dire anche il La Pira che costruisce l’Isolotto, che distribuisce il latte ai bambini o che regala libri ai ragazzi per spiegare cos’è la loro città, che lotta contro le fabbriche che chiudono e perché riapra la Centrale del latte. Ecco, se mi paragona a “quel” La Pira, allora il paragone, per quanto improprio, “mi garba” e mi auguro di esserne degno.
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