Mondo

Il mio grido significa “Mai più!”

Uno spettacolo straordinario, di sei ore. Realizzato da una compagnia belga anche con attori africani. E' la storia del più terrificante massacro degli anni 90.

di Joshua Massarenti

“Tentare una riparazione simbolica nei confronti dei morti, per l?apprendimento dei vivi”, questa la molla che ha spinto il regista Jacques Decuvellerie a riunire 35 artisti per dare linfa a uno spettacolo di 6 ore sulla tragedia del Ruanda. «Un massacro che», parole pronunciate dal regista all?indomani del genocidio compiuto contro i tutsi e gli oppositori hutu da un governo criminale guidato da hutu estremisti, « è stato trattato dai media in un modo tanto superficiale da lasciarmi scioccato». Presentato a Udine il 28 luglio scorso nel quadro del Mittelfest, Rwanda94 è una creazione teatrale del Collettivo belga Groupov, nato a Liegi nel 1980. L?opera di ricostruzione degli avvenimenti e di raccolta di testimonianze è durata a lungo, ma al termine di 5 anni di ricerca, incontri con esperti, viaggi in Rwanda, il Groupov è riuscito a mettere in scena queste 6 ore di teatro e politica per rendere giustizia ai ruandesi e alla loro storia.
Rwanda94, una nazione e un numero che, oltre a dare il nome alla rappresentazione, sono un grido di accusa, scarno e semplice, suddiviso in tre parti, a un mondo che ha chiuso gli occhi di fronte all?inferno.
Inizia con la testimonianza di una sopravvissuta, Yolande Mukagasana, tesa fino all?insopportabile nel raccontare i massacri cui è scampata e nello sforzo profuso per dare un volto, un nome al milione di persone sterminate. Di fronte alla litania di domande del Coro dei morti rivolta a una Comunità internazionale rimasta impassibile ai massacri del 94, la seconda parte vede un mezzo busto televisivo fittizio, la signora Bee Bee Bee, percorrere un viaggio iniziatico della conoscenza del Ruanda, di se stessa e del mondo. Un tragitto che mette progressivamente in luce le responsabilità del Belgio (ex potenza coloniale), della Chiesa Cattolica, della Francia, degli Usa e anche dell?Onu nella storia di questo piccolo Paese nato nello stomaco di un continente alla deriva. Rwanda94 si conclude con un passaggio drammatico riservato «a un aspetto del genocidio ruandese totalmente sconosciuto agli occidentali: la resistenza popolare», come ricorda Decuvellerie. Sulle note del compositore americano Garrett List, allievo di Luciano Berio e del musicista ruandese Muyango, la Cantata di Bisesero rievoca la resistenza eroica di 50mila persone sull?omonima collina. Lassù persero la vita 49mila esseri umani in soli tre mesi.
Così si chiude Rwanda94, un?opera che, mescolando vari registri teatrali (una miscellanea di testimonianza, video, music-hall, melopea ruandese ed ensemble corale), trascende la singolarità del genocidio ruandese e offre con intransigenza allo spettatore la possibilità di riscattare la sua ignoranza riguardo al quarto sterminio del Novecento.

Siamo a Udine in una fresca serata di fine luglio, l?intervista con Dorcy Ru-gamba, ruandese di etnia tutsi, miracolosamente scampato al genocidio di 8 anni fa, è cominciata da una decina di minuti. L?attore sembra a suo agio. Racconta la storia di uno spettacolo teatrale che è una denuncia al mondo occidentale e alla Chiesa, colpevoli di aver dimenticato una nazione e un continente intero. Le sue parole certo sono pugni nello stomaco di chi lo ascolta, ma Dorcy non perde mai la sua serenità, talvolta agghiacciante come quando, quasi all?inizio del nostro incontro, ricordando il momento in cui suo fratellino gli annunciava lo sterminio di tutti i membri della loro famiglia: lui per un momento si infervora perché «quando si riceve la notizia dell?assassinio di un parente, allora la cosa è ancora sopportabile, ma 8 in un colpo solo, è assolutamente troppo». Un ragionamento di questo genere è lontano da noi anni luce. La distanza con il Ruanda si vede anche da questo. Poi l?attenzione si sposta sulla genesi dello spettacolo.
Vita: Voi ruandesi, loro belgi, voi ex colonia, loro ex coloni, ma dal vostro incontro con il collettivo Groupov è nato uno spettacolo come Rwanda94. Un miracolo?
Dorcy Rugamba: Tra attori, musicisti e scrittori, ci sono 7 ruandesi. Quello che ci accomuna è il fatto di voler testimoniare quanto ci è personalmente accaduto durante il genocidio nel nostro Paese. Da parte sua, il Groupov nutriva sì la necessità di collaborare con dei ruandesi, ma con dei ruandesi avvertiti.
Yolande Mukagasana, ad esempio, aveva già un bagaglio di testimonianze compiute in pubblico. Carole Karemera era doppiamente chiamata in causa, come attrice professionista e testimone diretta. Gasana N?doba, è un attivista per i diritti umani.
Vita: E lei?
Rugamba: Il 7 aprile 1994, il giorno in cui iniziò il genocidio contro i tutsi e gli hutu oppositori al regime del presidente Habyarimana, io mi trovavo a Butare, nel sud del Paese, da mia zia. Ricordo che mi ero prefisso di ritornare il 6 aprile a Kigali per raggiungere la mia famiglia. Ma mio padre era risolutamente contrario a questa scelta perché c?era molta insicurezza attorno alla capitale. Continuava a ripetermi che qualcosa di grosso stava per accadere. Quella stessa sera venne abbattuto l?aereo del presidente, e il genicidio da parte degli estremisti Hutu iniziò. All?indomani mattina, ho chiamato tre volte a casa. Durante la prima telefonata, mio padre continuava a ripetermi che qualcosa di grosso stava per accadere. Nell?ultima, mio fratellino mi diede la notizia terrificante che tutti i membri della famiglia presenti a Kigali erano stati sterminati dai militari! Tutti uccisi, tranne lui! Vede, quando riceve notizia della morte di un parente, la cosa può essere ancora sopportabile. Ma la notizia di otto in un colpo solo, è assolutamente troppo incredibile!
Vita: Ma lei aveva capito le ragioni di quanto stava accadendo?
Rugambe: No. Ma guardandomi indietro, mi dico che siamo stati davvero stupidi! C?erano tutte le condizioni per capire che qualche cosa di terrificante stava per abbattersi su di noi: i progrom degli anni precedenti, una propaganda mediatica che chiamava fin dal 1990 la gente a farla finita con i tutsi! Ma era tutto talmente grossolano da esser convinti che il popolo non avrebbe mai risposto a appelli così folli!
Vita: Da Kigali in fiamme al teatro belga dei Groupov, come c?è riuscito?
Rugamba: Sono fuggito in Burundi. Da lì, ho deciso di andare in Europa: prima in Francia e poi in Belgio. Ci ho messo un anno per riprendermi. Ho saputo che alcuni di Butari che conoscevo dalle elementari hanno massacrato altri amici con cui erano cresciuti! Ma non ho mai pianto. Poi, un giorno, ho preso coscienza! Ed è stato terribile! Il Ruanda che conoscevo, il mio modo sono totalmente crollati. Lì mi sono reso conto che non avrei mai più rivisto i miei amici, parenti, familiari sterminati nel genocidio. Io sono stato cresciuto da un padre artista, poeta e scrittore che mi ha immerso nel Ruanda tradizionale e lirico.
Vita: E non ha mai più rivisto casa?
Rugamba: Nel 1996, sono tornato in Ruanda, a Butare. Tutto era rimasto perfettamente in ordine: le strade, l?università, la case. Ma non riconoscevo più nessuno! Per me, erano tutti stranieri. Molte persone erano state massacrate, altre sono fuggite. I residenti erano composti dai sopravissuti, ma soprattutto dai membri della diaspora Tutsi rwandese. è stato uno shock, ma mi ha spinto a rimettermi ?in contatto? con il Rwanda. Di ritorno in Belgio, ho deciso che avrei intrapreso una nuova vita, artistica. Ho iniziato a comporre poesie ruandesi attraverso la rilettura delle opere di mio padre, e testi drammaturgici.
Vita: Quindi l?incontro con i Groupov?
Rugamba: La mia volontà era quella di parlare di vite spezzate. E il teatro era un mezzo straordinario per dire quello che pensavo. Quando sono stato contattato, ero diffidente. Il mio rancore e la mia delusione contro i media erano molto forti, e diffidavo sempre di più degli europei . Non volevo proporre la testimonianza drammatica di un sopravissuto rwandese del genicidio, bensì quella di un essere umano che ha vissuto in Rwanda con un padre artista e una cultura tradizionale.
Vita: Allora che cosa l?ha convinto del progetto Rwanda94?
Rugamba: Sono rimasto affascinato dal loro approccio alla tematica del genocidio: erano coscienti di non sapere nulla in materia e che avevano tutto da imparare. All?inizio, ho collaborato con Marie-France Collard sulla “Litania delle domande”. L?obiettivo era di opporsi al modo con cui i media avevano “coperto” e continuano a farlo la complessità della storia rwandese. Per questo la litania è suddivisa in sette capitoli storici in ciascuno dei quali vengono fatte tutta una serie di domande sulla storia del mio paese. I media danno risposte già pronte, noi invece volevamo porre delle domande.
Vita: Come è stato possibile trasferire sul palco la sua angoscia interiore?
Rugamba: In teatro, io indosso la morte di un mio fratello. Nella prima parte, racconto nei dettagli tutto quello che ha visto in casa mia e il modo in cui è stato massacrato. Tutto in prima persona. In questo modo, ho la sensazione di ridargli un po? di vita.
Vita: Uno degli aspetti più straordinari di questo spettacolo è il ribaltamento dei rapporti di forza tra vittima africana e spettatore occidentale. Da quanto si è visto a Udine, lo spettatore esce sfinito da una simile esperienza.
Rugamba: Sì, ed è salutare. è indecente raccontare con tale meticolosità l?attività di un uomo che fa a pezzettini un suo simile, ma, a un certo punto, è necessario oltrepassare il proprio pudore.
Vita: Personalmente a cosa le è servito Rwanda94?
Rugamba: Il modo in cui rivivo in teatro il genocidio mi aiuta a sopravvivere. Ma non basta. Fino al mio ultimo respiro continuerò a raccontare quello che è accaduto. Perché l?espressione «Mai più!» possa avere un senso realistico.
Vita: Ma il teatro non rimane in qualche modo impotente di fronte a un avvenimento di tale violenza?
Rugamba: Da un certo punto di vista, sì. Ma il teatro non è completamente inutile. In questo senso, il teatro contemporaneo può tornare alle sue origini, cioè al teatro greco. Un teatro al centro della città, chiamato a trasformarsi in uno spazio attraverso il quale si possa reinventare il quotidiano.
Vita: Rwanda94 dovrebbe essere messo in scesa in Ruanda nell?aprile 2003. Come si immagina quel giorno?
Rugamba: è necessario tornare sul luogo del crimine. In Ruanda, il genocidio era latente: dal 1959, sono stati compiuti più di 11 massacri. I nostri genitori hanno vissuto tutti questi crimini. Se nessuno è riuscito a fermare tali fatti, è perché nessuno in questo Paese è stato intellettualmente immunizzato agli odi razziali. Rwanda94 costringe a pensare, riflettere sul proprio passato, rimettersi in discussione e porre le giuste domande. Karl Jaspers sosteneva, all?indomani dell?olocausto, che la colpevolezza dei tedeschi era collettiva, che tutti erano responsabili! Questo vale anche per i ruandesi. Poi anche noi abbiamo il dovere di riflettere sul futuro delle prossime generazioni mondiali. Pensiamoci prima, soprattutto oggi che i razzismi stanno dilagando ai quattro angoli del pianeta.

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