Cultura
Il mio capodanno nel fango.
Chiara, volontaria, da due anni nel paese sud americano con il Cesvi, lavora in un barrio della capitale. Ecco il diario e il suo Sos.
«I l 13 dicembre avevo salutato tutti: ?Torno in Italia, ci vediamo a gennaio, Feliz Navidad!?. Sì,a Caracas aveva già cominciato a piovere, ma nessuno immaginava un disastro di queste proporzioni. Se avessi saputo sarei rimasta lì. Poi è stato difficile rientrare: gli aeroporti erano chiusi e Caracas irrangiungibile».
È Chiara Vallin che racconta, con la voce stanca per il sovraccarico di lavoro e per l?emozione. Chiara è una volontaria del Cesvi, una ong italiana. Da due anni vive in Venezuela per coordinare un progetto di sviluppo finanziato dall?Unione Europea e realizzato in collaborazione con la ong locale Fudep-Fundacion para el desarrollo de la economia popular. Fino a un mese fa Chiara si occupava di promuovere attività comunitarie nel Barrio Catuche, favela storica di Caracas, costruita lungo le rive del Rio Catuche. Una favela dove vivevano 12 mila abitanti che è stata completamente spazzata via dalle alluvioni di dicembre. Il 23 dicembre scorso Echo (Ufficio Aiuti Umanitari dell?Unione Europea) ha stanziato 300 milioni di lire per l?intervento di emergenza proposto dal Cesvi: distribuzione di generi di prima necessità come materassi, coperte, piccole cucine da campo e kit igienico-sanitari per 10 mila persone colpite dal disastro.
«Il mio compito ora è quello di assistere 3000 famiglie», continua Chiara. «Sono riuscita a rientrare a Caracas il 28 dicembre. Non avevo mai visto un disastro naturale di questa entità: un?enorme spianata di terra al posto delle case: 600 km di costa distrutti». La massa di terra che è scesa dal Cerro Avila ha spaccato il terreno e si è portata le case fino al mare, sotterrandole. Ora questa superficie di fango si è seccata e ogni tanto si vede spuntare dalla terra un braccio, una gamba. «Faccio fatica a parlare, ho un nodo alla gola e devo sforzarmi di non piangere: sono decine di migliaia (forse 40 mila) le persone che mancano all?appello. In questo disastro ho perso anche degli amici».
Le organizzazioni umanitarie si sono occupate di allestire centri di accoglienza per gli oltre 100mila senza tetto. Nei primi giorni dopo il disastro, il palazzetto dello sport di Caracas detto Poliedro ha fatto da centro di smistamento: il 20 dicembre c?erano già 1500 persone. «Il barrio Catuche dove ho abitato negli ultimi due anni», continua Chiara, «è stato completamente travolto dall?acqua. Lì vivevano 12 mila persone in una striscia di terra lunga 2 km e larga 40 metri. Un ammasso disordinato di casette e baracche costruite lungo le rive del Rio Catuche. È difficile da credere, ma questo innocuo fiumiciattolo è salito di 14 metri nel giro di 10 minuti. Fortunatamente, durante la notte del 16 dicembre, la gente del barrio si è accorta dello strano rumore del vulcano inattivo che sovrasta Caracas, il Cerro Avila, e molti temendo un?eruzione si sono recati altrove. La paura ha salvato loro la vita. Qui nel barrio ci sono stati un centinaio di morti che sono ancora sotto il fango. Non so nemmeno se si riusciranno a recuperare i corpi. Alcuni li conoscevo, li frequentavo abitualmente».
Chiara chiede che raccontiamo in Italia e in Occidente le dimensioni di un disastro oscurato dal baco virtuale del Millennio: «Nei primi giorni ho lavorato per individuare le zone e le famiglie più bisognose di aiuto, quelle non ancora raggiunte da altre organizzazioni. Ho acquistato i generi di prima necessità in loco, da fornitori commerciali e anche da ong venezuelane. Questa è una buona regola da seguire in tutte le emergenze. Se gli aiuti sono reperibili, è molto meglio approvigionarsi in loco. I volontari del Fudep sono stati splendidi. Molti di loro erano partiti per le vacanze di Natale e Capodanno, ma sono rientrati subito per darci una mano. Nei giorni scorsi, la sede del Fudep si è trasformata in una vera catena di montaggio umanitaria per preparare i kit di aiuto immediato. Oltre 20 persone hanno lavorato instancabilmente, anche a Capodanno, per preparare le borse di alimentari e materiale igienico-sanitario destinate alle famiglie dei quartieri di Miranda».
«Quando, qualche giorno fa, sono arrivata a Miranda per la distribuzione, la gente stava ammassata in piazza, sotto la pioggia battente, mezza nuda e priva di tutto», si sfoga Chiara. «Siamo arrivati con due camion, scortati dalla polizia, perché il pericolo di essere assaliti strada facendo era molto forte. Ci sono molti sciacalli in giro, armati di pistola e di machete, che fanno razzie nelle case abbandonate e distrutte, in cerca di qualsiasi cosa. Caracas è una città pericolosa, in tempi normali ogni giorno ci sono decine di vittime da arma da fuoco. Ora, in situazione di emergenza, la criminalità e la violenza sono aumentate in modo esponenziale. Mentre distribuivamo gli aiuti mi chiedevo dove sarebbe finita tutta quella gente la notte. La parrocchia del quartiere ne avrebbe ospitati molti, ma non c?era posto per tutti. Così, alcuni di loro si sono messi a costruire ripari improvvisati di legno e lamiera sopra il fango, per non dormire sotto la pioggia. Il 3 gennaio finalmente ha smesso di piovere. I meteorologi hanno però avvertito che non è ancora finito il pericolo. Nei prossimi giorni si attende un?altra ondata di pioggia (giunta puntualmente il 7 gennaio che ha travolto circa 10 mila improvvisate baracche, ndr )».
L?ultimo Sos di Chiara è questo: «Sembra paradossale, ma in questa calamità naturale causata dall?acqua, è proprio l?acqua il bene più prezioso. È proprio per mancanza di acqua potabile e di servizi igienici che in alcune zone si sta diffondendo il colera. Aiutateci ad aiutare».
Per aiutare: numero verde 800.036.036 per donazioni con carta di credito; cc postale 324244 intestato a Cesvi, causale Emergenza Venezuela; info.: tel. 035.243990 (Cesvi).
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