Welfare

Il ministro a tu per tu con i detenuti

Il ministro della Giustizia Paola Severino ha incontrato i detenuti del carcere circondariale veneta

di Redazione

Un ministro “dietro le sbarre”: è accaduto con Paola Severino che ha accettato l’invito arrivato da Padova e ha accetato di incontrare i detenuti del carcere circondariale e di partecipare poi ad un incontro pubblico. Pochi convenevoli, una breve ispezione in un reparto rinnovato e poi il tete-a-tete con i carcerati che fa disperare le sue guardie del corpo. Tra loro – dieci ammassati in una cella da cinque – e lei, circondata dai suoi due preoccupati angeli custodi, solo le sbarre verdi in acciaio rinforzato. Parole di rabbia si mescolano ad altre più meditate di richiesta. Sovraffollamento, misure alternative alla detenzione, lavoro, sanità in carcere. I temi sono ben noti. Paola Severino anzitutto ascolta. Poi, poche e misurate parole di umana comprensione. «Non sono un politico, non faccio promesse». Ma ricorda che questa settimana ci saranno alcuni passaggi fondamentali per due leggi – sul lavoro e sulle misure alternative – bloccate rispettivamente da problemi di fondi e di consenso politico. Lavoro, soprattutto. «È la vera soluzione stabile ai problemi del carcere». Parole pesanti.

«Quando vado nelle carceri chiedo sempre di misurarmi con le situazioni più difficili», spiega. E anche alla casa di reclusione la musica non cambia. La colonna sonora sono le urla dei carcerati che dalle celle chiedono libertà e amnistia. Un cenno con la mano da lontano e poi l’incontro con gli agenti di polizia penitenziaria. Dopo i detenuti quelli che stanno peggio sono loro. Eppure il loro pensiero va prima di tutto ai reclusi. «Essere chiusi qui dentro 24 ore su 24 è disumano», dice il sovrintendente Giovanni Vona a nome di tutti gli agenti. «È una sfida anche per noi, e la superiamo solo per il nostro grande senso di appartenenza allo Stato». Parole molto apprezzate dal ministro che ricorda anche il grande impegno del Capo dello Stato sul tema.

Si passa poi, con la guida del presidente del Consorzio Rebus Nicola Boscoletto, alle lavorazioni che con il marchio Officina Giotto coinvolgono circa 130 detenuti. Call center (con un nuovo impegnativo progetto che potrebbe potenziare call center e pasticceria con 40 nuovi posti di lavoro), valigeria, catena di montaggio delle biciclette, pen drive per le camere di commercio, cucina, pasticceria. Ovunque il ministro incontra gli imprenditori che ci hanno creduto, che hanno investito su questi lavoratori dalla produttività eccezionale, come Zhang, il cinese che è il mago delle chiavi usb. La visita prosegue nella redazione di Ristretti Orizzonti, dove il ministro ha parole di apprezzamento per il prezioso lavoro culturale che l’attività di informazione realizza.

In auditorium, dopo un breve video sulle attività e gli incontri della cooperativa in questi anni, la parola passa senz’altro ai detenuti. «La mia vita qui in carcere è migliore di prima di entrare», dice Dinja, albanese, in modo spiazzante. «Sono condannato per reati brutti. Mi vergogno, giorno dopo giorno, per le brutte cose che facevo prima. Io ho tolto la vita a un essere umano che oggi poteva essere mio fratello. Ho distrutto due famiglie: la famiglia della vittima e la mia famiglia». Eppure la coscienza del male non è l’ultima parola. «Due anni fa ho adottato un bambino in Uganda. Si chiama Cristiano Dinja. Ho fatto questo piccolo gesto perché vorrei, come posso, dare e sostenere un’altra vita, perché tutto il rispetto va alla famiglia della vittima». È poi la volta di Alessandro, italiano, che lavora al laboratorio di biciclette. «Oggi il lavoro è parte di me. Sono in laboratorio dalle 8.00 alle 6.00 del pomeriggio. In stagione ci fermiamo qui anche al sabato perché bisogna produrre tanto e bene. Non è più un passatempo».
 

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