Mondo
Il mercato delle adozioni vive di genitori complici
A 15 anni dalla Convenzione dellAja, le adozioni internazionali hanno ancora molti buchi neri . Per invertire la rotta cè solo una strada: Paesi di arrivo più morali, che cambino i Paesi dorigine
Lo chiamano ?child laundering? ed è un modo sinistro per definire, esattamente come nel lavaggio di denaro sporco, il passaggio di consegne che permette di adottare legalmente un bambino che è stato prelevato in modo illegale dalla sua famiglia d?origine. Di questo, che è il lato più oscuro delle adozioni internazionali, si è trovata a parlare Jennifer Degeling, capo dell?ufficio legale di supporto alla Convenzione dell?Aja, in occasione del convegno Ciai che a Venezia ne ha celebrato i primi 15 anni di applicazione.
Il suo bilancio sul trattato ha messo in luce le contraddizioni del sistema: con 75 Stati aderenti e oltre 550 realtà – tra autorità centrali ed enti autorizzati – che si riconoscono nei suoi principi-guida di sussidiarietà e tutela del minore, la Convenzione può dirsi un successo. «Ma soltanto in rapporto al numero dei Paesi ratificanti», precisa la Degeling. «Perché in realtà solo una minoranza delle oltre 40mila adozioni concluse ogni anno nel mondo viene fatta secondo questa piattaforma legale. Ciò non significa, ovviamente, che la Convenzione dell?Aja non abbia portato un cambiamento epocale e che non sia uno standard irrinunciabile di diritti».
Ma sotto il suo cappello esistono ancora molte, troppe zone d?ombra, avverte la giurista. A cominciare dal significato stesso di adozione: «Ormai non più intesa come un mezzo solidaristico per dare una famiglia a un bambino», riflette, «ma è diventata un modo per soddisfare un bisogno di genitorialità dei Paesi sviluppati, i cui tassi di fertilità si sono abbassati».
Le leggi del mercato
In questo fenomeno planetario, che dal secondo dopoguerra ad oggi ha raggiunto più di un milione di adozioni, i Paesi d?origine dei minori sono progressivamente cambiati: prima gli Stati dell?Europa piegata dal conflitto mondiale, poi l?Asia, con in testa Corea e Vietnam; negli anni 80 il Sud America, poi l?Europa dell?Est. «E oggi, come probabile futuro ?serbatoio? di bambini, c?è l?Africa», dice la Degeling con una preoccupazione ben motivata. Si stima che nel continente ci siano 48,3 milioni di orfani (su 143 milioni nel mondo) e le statistiche delle adozioni negli Stati Uniti (che da sempre precorrono le tendenze), dicono che nel 2006 i minori adottati provenienti dall?Etiopia sono saliti del 75% (per gli Usa è il quinto Paese di provenienza) e del 93% dalla Liberia. «Ciò fa pensare che l?Africa potrebbe diventare la nuova fonte di un mercato in cui la domanda è più alta che mai», afferma l?esperta.
Il numero di coppie occidentali desiderose di avere un figlio resta costante, mentre quello dei bambini disponibili diminuisce di pari passo con il progresso e la promozione dei diritti nei Paesi di provenienza. Dal 2004 al 2006 le adozioni nel mondo sono passate da oltre 45mila a 42mila, perché i bambini ?adatti? sono diminuiti. Gli istituti invece restano pieni «di bambini grandicelli, con un numero variabile di fratelli, con disabilità o problemi comportamentali. Nel 2005 i minori adottati in Brasile avevano quasi tutti più di 5 anni o erano portatori di speciali bisogni», continua la Degeling. E non nasconde la verità: la strada imboccata da tutte le coppie che non si accontentano è quella dell?illegalità.
Pratiche di illegalità
«Il fenomeno è più forte che mai, soprattutto nei Paesi che non hanno ratificato la Convenzione dell?Aja», denuncia la giurista. Il punto debole del sistema è proprio l?effettivo stato di abbandono del minore. Prima di essere adottato secondo tutti i crismi della legalità, infatti, un bambino può essere sottratto alla sua famiglia con diversi espedienti. «Si va dal rapimento vero e proprio alla vendita per pochi soldi da parte dei genitori stessi, cui raccontano che i bambini cresceranno da ricchi oppure che verranno mandati temporaneamente a studiare lontano; oppure ci sono le vendite per pagare un debito o la dichiarazione di adottabilità per bambini che si sono solo persi». Uno scenario spaventoso «di cui conosciamo bene la dinamica», dice la Degeling. «Al centro c?è un Paese povero impossibilitato al controllo sulle prassi e sulle strutture adottive. Il mercato dei minori si sviluppa e a poco a poco diventa enorme. Scoppia lo scandalo, scatta la moratoria, si chiudono le adozioni. Tutto finito? No, in un altro Paese, nel frattempo, il ciclo è già ricominciato».
Per far finire questo stato di cose, Jennifer Degeling vede una sola strada, forse la più difficile: la moralizzazione dei Paesi riceventi. «Hanno un grande potere di pressione sui Paesi d?origine», dice. «Sono i Paesi riceventi che devono aiutare quelli d?origine a sviluppare la legalità e ad adottare misure di tutela dell?infanzia che prevengano ogni abuso. L?applicazione corretta della Convenzione dell?Aja passa anche da questo. Senza un?assunzione di responsabilità comune sarà difficile stroncare il mercato dei bambini».
Info:www.ciai.it – www.euradopt.org
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