Cultura
Il meccanismo virtuoso del copyleft
Il regime di copyright va bene solo per i più forti. Per la gran parte degli autori non reca benefici.
Per un libro da 10 euro, in Italia all?autore vanno 0,80 centesimi per ogni copia venduta. Quando il libro ha successo, poi, vende mediamente dalle 2mila alle 4mila copie. L?autore percepirà qualcosa come 1.200 euro, ammesso che tutto vada per il meglio. Quindi la domanda reale è: il 92% chi lo ha preso?
Alla distribuzione va tra il 50 e il 60%, al promotore il 10%. Ma bisogna calcolare anche i costi di tipografia e le spese. All?editore quindi non va più del 20/25% quando va bene. E allora dove ci si guadagna? L?autore non guadagna, certo, da quell?8% lordo (contrattato fra editore e autore, spesso bypassato da un forfait con cui l?editore acquisisce anche i diritti di autore), più spesso invece su un anticipo (mille-2mila euro in media), guadagni su cui non è però possibile costruire una fortuna, tanto meno viverci.
Dal punto di vista artistico-morale, infine, la situazione non sembra andar meglio. Emblematica una frase di Nicola Piovani sull?ultimo film di Benigni: «Bisognerà spiegare al pubblico americano perché un italiano fa Pinocchio. Sono convinti che l?abbia inventato Walt Disney».
Paradosso Pinocchio
Il paradosso sta nel fatto che i diritti su Pinocchio erano pubblici fino a quando una sua rielaborazione non è stata protetta per salvaguardare gli interessi economici di grandi investitori, i quali, in questo modo, in realtà possono escludere probabili competitor. Se una società, infatti, ha i diritti di sfruttamento di un prodotto (in questo caso la rielaborazione di Pinocchio), nessuno potrà competere sullo stesso piano, semplicemente perché sullo stesso piano c?è solo quella società.
E’ chiaro allora come il copyright sia una rendita di posizione, grazie alla quale l?investitore può inoltre avvalersi di una posizione di dominanza sul mercato sancita dalla legge; e su cui, oggi, si reggono veri e propri monopoli dell?intrattenimento. In conclusione il diritto d?autore, da una funzione difensiva è diventato uno strumento offensivo e commercialmente protezionista. In altre parole, garantisce che nessuno possa fare a Walt Disney ciò che Walt Disney ha fatto a Collodi.
Da qualche anno, però, un?altra forma di tutela, il copyleft, ha visto la luce e sembra rispondere diversamente all?esigenza dell?autore e dell?opera e, sebbene sia notoriamente vista in contrapposizione con il più classico dei classici diritti di una persona a vedere riconosciuta la propria opera d?ingegno, entrambe, copyright e copyleft, potrebbero viceversa trovare un modo per coesistere. Ammesso che gli interessi cui fanno rispettivamente riferimento intendano raggiungere un accordo.
Nata per diffondere online manuali tecnici e software, l?idea del copyleft consiste nel dare il permesso di modificare un programma o un testo, di distribuirlo, di pubblicarne una versione perfezionata, ma di obbligare chiunque benefici di questa libertà a garantire la possibilità di copiare e distribuire il risultato a sua volta. Si applica in relazione a diverse licenze che autorizzano più o meno a modificare il contenuto sino alla formula più restrittiva che, per quanto tale, recita: «Copyright © Mario Rossi. La copia letterale e la distribuzione di questo articolo è permessa con qualsiasi mezzo, a condizione che questa nota sia riprodotta».
E’ fiorita così una vastissima letteratura di manuali, software, o articoli che viceversa i circuiti ‘classici’ non sarebbero mai stati in grado di diffondere, abbattendo di fatto la voce più pesante nella suddivisione dei guadagni su un?opera di ingegno: la distribuzione.
Copyleft, una chimera?
Il copyleft, così come il copyright, aiutano soprattutto a creare quel patrimonio di relazioni in termini di notorietà e prestigio e pubblico, necessari per il posizionamento di un?opera di ingegno in seno all?opinione pubblica: vero capitale rivendibile a cifre più adeguate. Per raggiungere questa situazione però, ci si può da un lato appoggiare alla nomea di qualche famoso circuito editoriale a proprio rischio e pericolo, ma, ed è questo il vantaggio del copyleft, si possono utilizzare anche canali di promozione relativamente poco costosi, come Internet, e, soprattutto, concentrarsi così facendo sulla qualità del prodotto. Siluppando talvolta anche linguaggi artistici e/o progetti altamente innovativi e utili. In un mondo di prodotti inutili, la cosa non è di poco conto.
Problema. Le medie e grandi società dell?intrattenimento e relativi distributori, che su di un altro modello di sviluppo economico hanno costruito un monopolio, vengono bypassate. Si parla di cifre probabilmente ridicole ancora, ma, chissà perché, ad esempio, contro il sistema operativo Linux (protetto da copyleft), Microsoft continua a scagliare anatemi.
Ora, in un regime saturato da pachidermici monopoli, per altro in difficoltà economiche, come fuoriuscire dall?impasse? A guardarci bene, il copyleft non è forse la panacea di tutti i mali, ma nemmeno quest?astrusa antieconomica chimera di qualche cyberfreak.
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