Cultura
Il MAXXI celebra Abebe Bikila e la sua impresa a piedi nudi
Etiope, arrivato alle Olimpiadi da assoluto sconosciuto, divenne un simbolo dell’Africa che si liberava dal colonialismo europeo: la sua infatti fu la prima medaglia d’oro vinta da un atleta di quel continente, ottenuta correndo a piedi nudi per le strade della capitale. Due artisti tedeschi, Nina Fisher e Maroan el Sani, lo ricordano con una video installazone visitabile fino al 17 aprile
La sua maratona è ricordata come una delle imprese sportive più leggendarie del 900: corse a piedi nudi, per le strade di Roma, vinse la medaglia d’oro ai Giochi del 1960 e stabilì anche il record mondiale di allora in 2 ore e 15 minuti. Il personaggio in questione è Abebe Bikila, etiope, arrivato alle Olimpiadi da assoluto sconosciuto. Divenne un simbolo dell’Africa che si liberava dal colonialismo europeo: la sua infatti fu la prima medaglia d’oro vinta da un atleta di quel continente. Quattro anni dopo, arrivato ai Giochi di Tokyo reduce da un’operazione di appendicite, vinse un altro oro: impresa che non era mai riuscita a nessuno prima di lui nella maratona.
Bikila morì giovane, a 41 anni. Per quattro anni fu costretto ad una sedia a rotelle per le conseguenze di un incidente d’auto. Ma anche in quelle condizioni non rinunciò al suo desiderio di gareggiare: disputò le paralimpiadi nel tiro con l’arco.
Bikila che corre per le strade di Roma, seminando tutti i concorrenti è rimasta un’immagine mitica, che ha ispirato oggi a due artisti Nina Fisher e Maroan el Sani, tedeschi tutt’e due, un’opera che è stata presentata al Maxxi di Roma e che sarà visitabile sino al 17 aprile.
Il titolo è emblematico: Freedom of movement. Si tratta di una videoinstallazione su tre schermi. Sul primo schermo, un corridore africano ripercorre sulle strade di Roma alcuni dei momenti e degli scenari architettonici che caratterizzarono la storica maratona; nel secondo video, un coro di giovani rifugiati africani attraversa gli spazi del Colosseo Quadrato dell’EUR dalla scala monumentale fino al tetto per intonare una canzone che affronta questioni legate all’identità originaria dei migranti e a quella del paese che li ospita; sul terzo schermo infine si vedono le riprese della maratona del 1960, intervallate da materiale d’archivio sulla costruzione dell’EUR e del Foro Italico, si sovrappongono alle immagini attuali di una corsa notturna di immigrati.
L’obiettivo dei due artisti è quella di riunire in un’unica opera la storia della maratona del 1960, l’attuale crisi creata dal flusso di rifugiati e migranti e il linguaggio silenzioso e controverso dell’architettura modernista romana, in particolare delle architetture per lo sport, bellissime e piene di contraddizioni. I rifugiati e i migranti di oggi corrono anch’essi a piedi nudi tra i monumenti della città, reclamando così il loro diritto alla libertà di movimento.
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