Cultura

Il male, eterno ritorno

Per questa loro assai interessante opera i due registi fratelli hanno scelto di sottolineare più che l’eccezionalità della strage...

di Maurizio Regosa

La masseria delle allodole è, come spesso avviene nei film dei Taviani, un luogo arcaico. Separato dalla città, piacevolmente raffinato, è lo spazio del divertimento, della gita fuori porta, del ballo spensierato sul finir del giorno. Come tale è appunto il simbolo più adatto per narrare la perdita dell?innocenza di un secolo breve che tanto corto non è poi stato. E per descrivere analizzandolo da vicino quel momento (siamo nel 1915) in cui l?amico è diventato nemico, il simpatico riccone della porta accanto è divenuto l?aguzzino senza scrupoli che trama contro la Patria.

Una storia vecchia, direte voi. In effetti per questa loro assai interessante opera i due registi fratelli hanno scelto di sottolineare più che l?eccezionalità della strage (ancora non riconosciuta) degli Armeni, l?ordinaria banalità della violenza, la ricorsività delle perversioni e dei finti ragionamenti, la sempre attuale faciloneria dei vigliacchi insomma. Non che manchino momenti anche crudeli. Le sequenze della masseria (una sineddoche per suggerire eguali orrori in tutta la Turchia) sono dure anche se non troppo esplicite, insostenibili anche se non condite da un realismo american style. Come se la macchina da presa non avesse il coraggio ma soprattutto la voglia di oltrepassare la soglia oltre la quale la rappresentazione diventa voyeurismo.

A suo modo un?altra indicazione interessante. Che la dice lunga sulla ricerca – dell?archetipo appunto, e non del dettaglio spicciolo – che i Taviani conducono anche in questa pellicola. Tant?è che la sceneggiatura (tratta da un romanzo di Antonia Arslan) procede speditamente bipartita fra un prima (non elegiaco, ma almeno senza violenza) e un dopo (la strage degli uomini, la deportazione delle donne) costruito secondo scansioni a loro modo classiche. Cioè riconducibili ad altri film che hanno narrato la Shoah o ogni altra persecuzione novecentesca. Persino alle precedenti pellicole degli stessi Taviani (La notte di San Lorenzo, ad esempio), che confermano in ogni caso la loro raffinatezza d?analisi ed estetica.

Non mancano alcuni difetti: qualche caduta nell?ovvietà difensiva (come ad esempio nel caso del console spagnolo), qualche passaggio eccessivamente letterario, le scene girate in Italia (il fratello del ricco Avakian emigrato a Padova) non paiono troppo cesellate né francamente molto convincenti, anche se autentici sono il dolore e la nostalgia. Ciò detto, il film è di ottimo livello con intuizioni di regìa veramente interessanti, con momenti formalmente impeccabili.


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