Mondo

Il limbo dello sfollamento forzato

Nel 2017 si sono registrati 68.5 milioni di sfollati a livello mondiale e il loro numero potrebbe aumentare di 140 milioni entro il 2050 per fattori legati all’ambiente e al clima. Un recente report della Banca Mondiale descrive uno scenario terrificante e l’assoluta necessità di azioni che contribuiscano a invertire la tendenza

di Regina Catrambone

“Una vita in viaggio” potrebbe essere il titolo di un film di avventure o di una guida di viaggi con meravigliose mete da visitare. Purtroppo, attualmente è la triste e disumana piaga che affligge milioni di persone nel mondo. Un numero senza precedenti di esseri umani viene costantemente costretto ad abbandonare la propria casa e cercare riparo altrove. Lo sfollamento è una esperienza terribile quando si accompagna a povertà estrema, abusi e impossibilità di soddisfare i bisogni primari. Solitamente inizia internamente perché per prima cosa si cercano migliori condizioni di vita nelle aree circostanti, ma se necessario l’esodo continua dopo la chiusura delle frontiere nazionali.

Così, smettono di essere sfollati interni (IDPs) e diventano potenziali beneficiari dell’asilo politico o dello status di rifugiato. Tuttavia, in fin dei conti, sono ancora esseri umani che meritano diritti, rispetto e dignità a prescindere dallo status legale. Perché lo sottolineo? Perché l’attuale dibattito sul tema sembra aver dimenticato che gli sfollati e i rifugiati sono esseri umani con una storia e una famiglia, con sogni e aspirazioni come chiunque altro. Li trattiamo come numeri, li usiamo per le nostre statistiche, abbiamo paura di loro perché li immaginiamo come una massa indistinta di stranieri. Parliamo di loro, ma spesso non parliamo con loro e raramente guardiamo a loro come individui.

Ci siamo mai chiesti cosa significhi essere sfollato? Vuol dire essere sradicato dalla propria casa senza poterci ritornare per motivi di sicurezza o semplicemente perché la nostra casa è stata rasa al suolo. Ti ricordi il campetto dove giocavi coi tuoi amici? Dimenticatelo! Non c’è più o comunque non potrai rivederlo.

Nel 2017, si sono registrati 68.5 milioni di sfollati a livello mondiale e il loro numero potrebbe aumentare di 140 milioni entro il 2050 per fattori legati all’ambiente e al clima. Un recente report della Banca Mondiale descrive uno scenario terrificante e l’assoluta necessità di azioni che contribuiscano a invertire l’attuale tendenza mortale. A livello teorico entro il 2050 il clima può provocare 40 milioni di sfollati di Asia, 86 milioni nell’Africa Sub-sahariana e 17 milioni in America Latina. In uno scenario così spaventoso, la buona notizia è che, attuando buone pratiche ambientali, possiamo ridurre il numero di sfollati climatici dell’80%. Riusciremo prima o poi a ripensare il nostro stile di vita per renderlo più sostenibile e responsabile verso il mondo in cui viviamo e i suoi abitanti? Lo spero di cuore.

Durante le mie permanenze in Bangladesh, dopo l’esodo senza precedenti di Rohingya, ho toccato con mano cosa significhi vivere in campi profughi o per sfollati in un paese esposto ai disastri naturali. Le intense piogge monsoniche possono spazzar via i ripari di fortuna e le vite dei più vulnerabili in aree ad elevato rischio di frane e allagamenti. Riusciamo a immaginiamo come possano sentirsi i Rohingya? Dopo una vita di marginalizzazione e segregazione, dopo precedenti sfollamenti e conseguenti ritorni, dopo l’ultima repressione da parte dei militari nell’agosto 2017, circa 700.000 persone hanno cercato riparo in Bangladesh, solo per poi trovarsi intrappolati in aree non sicure dove condizioni meteo estreme e scarsa pianificazione minacciano le loro vite.

Sfollamenti e disastri naturali impediscono ulteriormente l’accesso alle strutture sanitarie e scolastiche e, di conseguenza, il pieno sviluppo delle persone. Lo sfollamento implica assenza di stabilità e continue minacce. E questo non vale solo in Sud-Est asiatico, ma in tutto il mondo, soprattutto se consideriamo paesi come la Repubblica Democratica del Congo (DRC) e la Siria. Nel 2017, circa 5.1 milioni di congolesi sono stati sfollati e fra loro 4.1 milioni erano sfollati interni. Dalla Siria proviene la popolazione di sfollati più numerosa del mondo dopo anni di incessante guerra civile senza alcuna soluzione pacifica all’orizzonte. In tutti i casi, a complicare ulteriormente gli interventi c’era l’enorme presenza di bambini anche in tenerissima età, donne (molte di esse incinte o in fase di allattamento) e ragazze con esigenze specifiche in termini di salute fisica e mentale.

E i bambini? Stando agli ultimi dati UNICEF, per la prima volta nella storia, 30 milioni sono sfollati e proprio i bambini rappresentano il 28% delle vittime di tratta a livello mondiale. La maggior parte di questi non è mai stato visitato da un dottore e sa solo come si vive in un campo profughi o per sfollati, non sono mai andati a scuola per ricevere un’istruzione adeguata, ma hanno ricevuto solamente i rudimenti della loro religione. In molti casi, la loro unica finestra sul mondo siamo noi, i nostri smartphone e ciò che riusciamo a far vedere attraverso uno schermo. Di fatto, questi bambini non conosceranno mai la gioia dell’infanzia.

Nel loro costante spostamento, gli sfollati in realtà non vanno da nessuna parte. Sono bloccati al loro destino avverso con pochissime chance di migliorarlo. O muoiono per la disperazione a casa loro o muoiono di speranza durante un viaggio letale per mettersi in salvo. I più fortunati raggiungono la salvezza e iniziano una nuova vita nonostante tutto.

Eppure, resistono, sperano, sognano. Lottano ogni giorno per i propri desideri e aspirazioni. Fanno qualsiasi cosa pur di garantire ai propri cari un posto dove vivere al sicuro. Si spostano di continuo e si adattano a condizioni sempre diverse, imparando a chiamare ‘casa’ posti sempre nuovi. Tuttavia, il loro movimento è pura illusione perché non comporta nessuna vera evoluzione a causa della profonda mancanza di progettualità a lungo termine e sostegno da parte della comunità internazionale.

Guerre, conflitti, persecuzioni e conseguenti sfollamenti non solo alterano la vita quotidiana delle persone, ma solitamente distruggono il futuro delle persone negando loro istruzione, formazione professionale, lavori dignitosi e realizzazione personale.

Abbiamo mai pensato al costo sociale ed evolutivo di tutto ciò?

L'autrice è Co-Fondatrice e Direttrice MOAS

Foto: MOAS

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