Famiglia

il limbo dei piccolissimi

In Italia 65mila disabili sotto i cinque anni sono invisibili. Anffas ha deciso di puntarci

di Sara De Carli

A Varese c’è uno dei pochissimi centri riabilitativi per bambini con autismo, ritardo mentale, disabilità intellettive. Il sogno? Arrivare qui prima dei tre anni Un mondo sommerso fatto di almeno 11mila bambini all’anno. Il limbo, per loro, dura dalla nascita fino al primo giorno di scuola. Fanno 65/70mila bambini: la differenza tra l’1% di bimbi a cui viene diagnosticata una disabilità sindromica al momento della nascita e il 3% che invece ha un certificato di disabilità in prima elementare. Bambini che in Italia nessuno vede, conosce, considera: tranne i loro genitori.
È il mondo segreto dei piccolissimi con disabilità: in barba alla scienza, che dice che i primi mille giorni sono decisivi per lo sviluppo di questi bambini e quindi imporrebbe una diagnosi precoce e una presa in carico rapidissima, per la fascia d’età 0/5 anni ancora oggi in Italia non esiste alcun dato disponibile. «E non essendoci una banca dati precisa e aggiornata», spiega Michele Imperiali, psicologo, presidente del comitato tecnico scientifico di Anffas onlus e responsabile per le politiche dell’età evolutiva dell’associazione, «non esiste una seria ed efficace programmazione per la loro presa in carico». Anffas – Associazione nazionale famiglie di persona con disabilità intellettiva o relazionale – da alcuni anni è in prima linea nel gridare la necessità di dedicare una particolare attenzione all’età evolutiva e alle giovani famiglie. E di farlo secondo un’ottica inclusiva, che guardi ai bambini con disabilità innanzitutto come bambini.

Obiettivo piccolissimi
In provincia di Varese c’è uno dei pochi centri in Italia in cui la presa in carico di questi piccolissimi è una priorità. È il Centro riabilitativo semiresidenziale per l’infanzia e l’adolescenza di Besozzo. Lo gestisce la Fondazione Renato Piatti, a marchio Anffas. È nato nel 2001 e ospita 70 ragazzi: autismo, patologie neuromotorie, disturbi comportamentali, ritardo mentale e sindromi genetiche sono le diagnosi più frequenti. L’età media oggi è 10 anni «ma le neuropsichiatrie cominciano a inviarci bambini di due anni e mezzo, tre», dice Annalisa Farioli, neuropsichiatra e responsabile sanitaria della struttura. «Solo cinque anni fa gli invii più precoci erano di bambini di 6 anni».
Anche perché oggi fare una diagnosi precoce tecnicamente si può: per quasi tutte le patologie ci sono strumenti diagnostici da affiancare all’osservazione. «Chiediamo che la diagnosi precoce sia un diritto inserito nei Lea. È poi fondamentale sensibilizzare i pediatri: se il pediatra rassicura troppo la mamma, è facile per lei cacciare indietro quei sospetti che sono sempre il primo campanello d’allerta».
Non è andata così per le due mamme che incontriamo. E che non esitano a definirsi fortunate. Giuliana è la mamma di Lorenzo, il cucciolo del gruppo. Ha tre anni e frequenta il centro da sei mesi. È autistico. Felicité, della Costa d’Avorio, è la mamma di Philip e Junior, gemelli di cinque anni, anche loro autistici. Sono qui dal giugno 2009, dopo mesi di “trattative” con la neuropsichiatria che li seguiva prima e che non li voleva mollare perché erano «casi interessanti». Le prime ad accorgersi che qualcosa non andava sono state proprio le mamme. «Ogni bambino ha i suoi tempi, mi diceva la pediatra, ma io mi sono impuntata per andare fino in fondo», ricorda Giuliana. È (anche) così che arriva una diagnosi tempestiva.

Percorsi a 360 gradi
Ognuno, al centro, ha il suo precorso riabilitativo. Logopedia, psicomotricità, musicoterapia (anche sdraiati sul pianoforte, con un operatore che suona e uno che movimenta il bambino sfruttando le vibrazioni), piscina. Per alcuni anche il pranzo diventa momento terapeutico. Le competenze acquisite con il terapista, poi, vengono spese durante le attività educative, in piccoli gruppi di due o tre bambini. Tutto gratis. Sei ore per Lorenzo, ma in alcuni casi si arriva anche a venti ore alla settimana. Gli altri giorni i bambini vanno a scuola, o all’asilo: «Il rapporto con le scuole è strettissimo, e costruito sempre a partire dai bisogni del bambino», dice Fabrizio Mannoni, responsabile di struttura.
Non c’è paragone rispetto ai quaranta minuti di una normale seduta riabilitativa, eppure anche in Lombardia, i centri così sono solamente tre. «Questo servizio è l’unico in perdita dei tanti che offre la Fondazione Piatti», dice Imperiali, che la presiede. «La tariffazione regionale è ferma dal 2003. La neuropsichiatria infantile è un investimento, invece se guardiamo i bilanci c’è una sproporzione assoluta con la psichiatria: l’Italia ha scelto la cronicità e non la prevenzione».
Oltre al lavoro con i bambini, c’è quello con i genitori. Spiazzati, disorientati, spaventati. Qui trovano delle risposte. Su ciò che li aspetta, ma anche sui loro diritti. «Quando ha nevicato hanno chiamato dall’asilo, dicendomi di tenere a casa il bambino perché la sua educatrice comunale non sarebbe arrivata», dice Giuliana. L’anno scorso aveva ubbidito. «Questa volta però conoscevo i miei diritti, ho messo in macchina Lorenzo e l’ho portato all’asilo».


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