Welfare

Il lavoro che non c’è i numeri e le storie

Editoriale di R. Bonacina sul problema della disoccupazione

di Riccardo Bonacina

Oltre 2 milioni di famiglie povere per un totale di sei milioni e mezzo di persone povere. Tra loro 1.700.000 minori e un milione di ultrasessantacinquenni. La povertà è un problema per quasi il 9% delle famiglie residenti al Sud e solo per il 3,8% delle famiglie del Nord. Insomma, la povertà cresce, e crescono i divari tra fasce di popolazione e zone geografiche del Paese. Le antenne delle statistiche continuano ad avvertire che tutto questo è anche dovuto all’aumentare del lavoro nero, precario e assistito. Intanto, proprio oggi, l’Istat avverte che non solo non vengono creati posti di lavoro, ma che addirittura dal ’93 a oggi si sono persi ben 400 mila unità lavorative. I disoccupati italiani toccano ormai quota 3 milioni, con punte di disoccupazione che al Sud raggiungono il 34% della forza lavoro. Sin qui i numeri gravi, le statistiche allarmanti. Succede poi che i freddi numeri si facciano cronaca: a Napoli dove i disoccupati e lavoratori precari bloccano la città con i falò e protestano perché tre ministri declinano l’invito dei sindacati confederali a presenziare ad una manifestazione sul tema del lavoro al Sud. Succede a Palermo dove martedì migliaia di precari, che dal 1989 vivono con 800 mila lire al mese, bloccano l’intera città. Succede anche a Milano davanti al palazzo della Regione, o a Roma davanti a Palazzo Chigi dove sempre più spesso delegazioni di lavoratori protestano per i loro posti di lavoro a rischio. Questa settimana, poi, il dramma della nuova povertà dei senza lavoro ha trovato una rappresentazione simbolica nella storia di una coppia siciliana arrivata nella Bologna ricca e sociale con un bimbo di poco più di anno. Salgono al Nord dalla Sicilia spinti dal miraggio di un lavoro. Rispondono a un annuncio sui giornali: “Cercasi custodi”. Fanno un colloquio e rimangono a Bologna per un lungo, intero mese, senza un tetto, senza una dimora, invisibili ai servizi sociali e anche alla società civile. Portano il loro bambino sul passeggino nelle loro peregrinazioni fatte per riempire l’attesa ansiosa e per non spegnere la speranza. Passano le notti nella sala d’aspetto della stazione. Di loro si accorgono ogni sera i poliziotti. Sono costretti a peregrinare anche di notte e in una sera dal vento particolarmente freddo affidano il loro bimbo a una coppia di tossici-barboni: «Loro almeno avevano una coperta», diranno poi.
A Roma intanto, a un anno e mezzo dal Patto per il lavoro, si continua a discutere, a trattare, a riciclare vecchi progetti ed inventarsi nuove sigle. Resta la sgradevole sensazione che il tema lavoro sia servito fino ad oggi come merce di scambio per qualcosa d’altro, e recentemente a creare nuove poltrone e nuovi posti, ma soltanto a Roma.

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