Non profit

Il grande flop

Nessuna coda nelle prefetture: le richieste di autorizzazione sfiorano quota zero

di Natascia Gargano

Tanto rumore per nulla. A un mese e mezzo dal decreto Maroni che autorizzava le cosiddette «ronde», non c’è stato nessun assedio alle prefetture. Almeno per ora, i numeri della paventata mobilitazione delle casacche gialle sono prossimi allo zero nel Nord Est, a Milano e a Torino. Falsa partenza? Retro marche di alcuni? La seconda ipotesi sfonda una porta aperta nel Sap, il sindacato autonomo di polizia, secondo in Italia con oltre 20mila iscritti. «Si è concretizzato quello che avevamo previsto», ha spiegato in un’intervista a Vita il segretario generale Nicola Tanzi, «a fronte di un regolamento serio che ha eliminato divise, affiliazioni politiche e armi, molti hanno perso interesse».

C’è poi chi opera da anni nel territorio che di diventare «ronda» non ha alcuna intenzione. «Ogni cittadino dovrebbe essere di per sé un “osservatore volontario”. Noi facciamo molto più delle ronde, non solo osserviamo, noi interveniamo». Mario Furlan e i suoi City Angels, associazione da un centinaio di volontari e una trentina di operatori sul territorio milanese, praticamente la fanno da padroni nella collaborazione con il Comune. E poi, continua Furlan, «la sicurezza è solo una piccola parte della nostra attività, che si occupa tout court di sociale sul territorio».

E, sorpresa, le ronde non sfondano nemmeno in terra del Carroccio. Una recente inchiesta del quotidiano del Nord Est «Il Gazzettino» ha verificato la quantità di domande presentate per l’iscrizione negli elenchi prefettizi veneti: Treviso, Padova e Rovigo, tutte a quota zero. E alla prefettura veronese, apripista delle ronde volute dal sindaco Flavio Tosi, non risulta ad oggi alcuna domanda.

Nemmeno al Sud le ronde sembrano riscuotere grandi successi. In mancanza di un monitoraggio ufficiale del Viminale, a tracciare l’evoluzione del fenomeno sono i sindacati di polizia. «Mi venivano i brividi al solo pensare che al Sud  sarebbero nate delle ronde», ha spiegato Tanzi del Sap, «nemmeno le associazioni degli ex poliziotti, carabinieri o finanzieri si sarebbero presi un rischio simile». In sostanza, il decreto Maroni dell’8 agosto scorso non passa la prova del sindacato: «Non serviva una legge dello Stato per legittimare un fenomeno che se al Nord di fatto esiste già da anni, al Sud è pericoloso».

C’è da dire che la normativa dell’Interno permette alle associazioni preesistenti sul territorio di proseguire l’attività senza iscriversi nei registri delle prefetture fino al prossimo 8 febbraio. Tuttavia un indicatore del fermento del fenomeno arriva da fonti sindacali della polizia che dichiarano un volume di richieste di intervento assolutamente nella media. E anche se le chiamate al 113 aumentassero «non potremmo farvi fronte, per il semplice motivo che siamo in asfissia di risorse», dicono dal Sap. La soluzione? «Potenziare il sistema di sicurezza aumentando le risorse delle forze di polizia, non certo mettendo a rischio l’incolumità fisica dei cittadini con organizzazioni fai da te».

Intanto proprio in questi giorni la Toscana ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale contro le ronde. La giunta ha impugnato l’articolo 3 della legge, nella parte in cui prevede che i sindaci, d’intesa con i prefetti, possano avvalersi della collaborazione di privati cittadini nella gestione della sicurezza urbana. Per la Regione, si tratta di norme «costituzionalmente illegittime che violano l’articolo 117 della Costituzione anche sotto l’aspetto del principio della leale collaborazione istituzionale». «L’articolo infatti», ha commentato il vice presidente della Regione Federico Gelli, «attribuisce allo stato la competenza in materia di ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale».

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