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Il grande assedio del silenzio

Per Kapucinsky il silenzio è emblema di un modo di imprigionare il mondo. E oggi fa ancora più male perchè avvolge il destino di milioni di uomini

di Giuseppe Frangi

Cisza, cioè silenzio. Memorizziamo questa parola che Ryszard Kapuscinski, in un suo straordinario libro da poco uscito in Italia (ne parliamo in questo numero alle pagine 38/39), propone ad emblema di un modo di imprigionare il mondo. Cisza, cioè silenzio in lingua polacca, la lingua madre del grande giornalista. Scrive Kapuscinski: «La gente che scrive libri di storia (ma possiamo tranquillamente dire la stessa cosa anche dei giornalisti, ndr) dedica troppa attenzione agli eventi cosiddetti significativi e studia troppo poco i periodi di silenzio. Difetta dell?infallibile intuizione di cui è provvista ogni madre che avverte un improvviso silenzio nella camera del bambino. Una madre sa che quel silenzio indica qualcosa di brutto, che nasconde sempre qualcosa e si precipita a intervenire perché sente un pericolo nell?aria. Lo stesso vale per il silenzio nella storia e nella politica. Il silenzio è un segnale di disgrazia, spesso di un crimine». Conclude Kapuscinski: «Oggi si parla molto di lotta contro il rumore, mentre sarebbe più importante la lotta contro il silenzio».
È paradossale pensare che nella società della comunicazione invasiva, vorace, dilagante il problema sia il cono vastissimo di silenzio che avvolge il destino di un?enorme fetta di mondo. Non è certo una novità, ma una regola della storia. Ma oggi il silenzio fa molto più male, proprio in rapporto al fiume di parole, la più parte inutili, che tempestano la nostra vita. Il silenzio custodisce, ovattandone la portata sconvolgente, il destino di milioni di uomini nella trappola della fame, dell?Aids, della povertà. Il silenzio, nei decenni passati, ha liquidato come non notizie la sorte di milioni di cristiani e di uomini liberi uccisi da regimi totalitari. Il silenzio non li fa esistere, li toglie dalla scena della storia.
In questi giorni a Firenze c?è una grande folla, programmaticamente chiassosa, che non accetta il perpetuarsi di questo silenzio. Come si può non essere con lei? Come si può non accogliere la carica umana, anche se disordinata, della loro sfida? L?augurio che facciamo al popolo ?plurale? di Firenze è quello di non stancarsi mai di rompere l?assedio di questo silenzio. Di avere la premura istintiva di quella madre di cui parla, con tanta efficacia, Kapuscinski. Perché tutto ci riguarda. E il bene di tutti è bene mio. Se non è così, hanno ragione i tanti che, con l?etichetta di qualunque appartenenza e qualunque fede, scelgono cinicamente di schierarsi per lo status quo.

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