Volontariato

Il giusto pugno

Perché Muhammad Alì resta un mito intramontabile. Perché incarna quello che manca allo sport di oggi: la gioia e gli ideali

di Luca Doninelli

Chi era giovane negli anni Sessanta e Settanta, e ascoltava quella musica, e guardava quei film, e ammirava quei leader politici, ha fatto di quell?epoca un mito. E poiché la generazione dei giovani di allora detiene oggi il potere, è giocoforza che quel mito sia diventato il mito di tutti. Chi non ha nessuna sensibilità per i fatti di costume può guardare queste cose con indifferenza. I Beatles? Hanno cambiato, certo, la storia del costume, ma ? dirà qualcuno – a parte qualche bella canzoni hanno anche prodotto molta mediocre musica. In questi anni, del resto, di Beatles abbiamo fatto indigestione, e forse stiamo cominciando a stancarci. C?è però anche l?altro grande simbolo di quegli anni: Muhammad Alì, alias Cassius Clay, che l?America sta celebrando in vita nel modo in cui si celebrano solo i grandi del passato: un film-kolossal che sta sbancando i botteghini e ora sta arrivando anche da noi. I Beatles stanno alla storia del costume come Alì sta a quella delle idee. La sua vita è stata ed è, si può dire, tutta un emblema, un concentrato di quei decenni e di quanto quei decenni hanno traghettato fino ad oggi. Selezionato per le olimpiadi di Roma (categoria mediomassimi), Cassius Clay vinse la medaglia d?oro, dimostrandosi grande showman oltre che grande atleta. Le sue spettacolari conferenze-stampa gli valsero il nomignolo di ?labbro di Louisville?. Ma la sua città non lo accolse bene. Entrato in un bar, ne fu cacciato via perché di colore. Lui, allora (anche qui, con senso dello spettacolo), imboccò uno dei ponti sul fiume Ohio e, giunto al centro, lasciò cadere nella corrente la sua medaglia d?oro. Di una medaglia che non gli permetteva nemmeno di entrare in un bar della sua città, questo giovane orgoglioso non sapeva che farsene. Clay passò al professionismo. I padroni della boxe non vedevano l?ora di lanciarlo contro il campionissimo di allora, il terribile Sonny Liston. Liston era brutto, truce e molto cattivo. E apparteneva alla criminalità organizzata. Ma soprattutto aveva schiantato la speranza dell?America ?bene?, il gentile Flojd Patterson. Cassius doveva, dunque, vendicare Patterson. Cassius era meno gentile di Patterson, ma più intelligente ed enormemente più bello, uno dei simboli della bellezza maschile nel XX secolo. L?America si sarebbe innamorata di lui. Ma la testa di questo ragazzo fortunato funzionava troppo bene. L?episodio del bar aveva maturato in lui qualcosa che i padroni della boxe non stavano capendo: una coscienza politica. Questo ragazzo non era soltanto un pugile di grande talento, era anche un giovane uomo politico. Che divenne ben presto uno dei leader del movimento musulmano nero ? fu amico fraterno di Malcolm X -, cambiando il proprio nome in quello di Muhammad Alì, come il Profeta. L?intelligenza di Alì si dimostrò nella sua capacità di far convivere il campione sportivo e il leader politico in modo che l?uno portasse sempre vantaggio all?altro. Il suo stile conquistò i media: insultava l?avversario durante le operazioni di peso, cercava di ipnotizzarlo prima del match, annunciando la ripresa durante la quale lo avrebbe messo ko (spesso indovinando), parlava in continuazione sul ring, deridendo il malcapitato con frasi maligne e con mosse provocatorie. Però vinceva, perché era un grande pugile. Giunse tuttavia il giorno in cui il pugile e il politico vennero a contrasto, e il politico ordinò al pugile di incrociare le braccia. Richiamato alle armi per andare in guerra in Vietnam, Alì rifiutò in nome della propria religione. L?obiezione di coscienza gli costò il carcere, il titolo mondiale e l?allontanamento dal ring. Fu il momento più nero, ma fu anche l?inizio della sua leggenda. Alì entrò in corrispondenza con molti personaggi importanti, che gli dichiararono il loro sostegno: tra questi anche il celebre filosofo e premio Nobel sir Bertrand Russell, che a partire da questo episodio diede vita al Tribunale Russell per i crimini di guerra. Alla prima lettera di Russell che ricevette, Alì rispose con queste parole: «Però! Non sei scemo come sembri in fotografia». Come autostima non c?è male. Intanto, il titolo del mondo dei massimi era finito nelle mani di un grande pugile e grande uomo, ?smoking? Joe Frazier di Philadelphia. Tarchiato, potente, terribilmente combattivo, Frazier era l?avversario ideale per Alì che, una volta scontata la pena, dopo due soli incontri di ambientamento, volle sfidarlo. Il match, per la prima volta nella storia della boxe, fu organizzato dagli stessi pugili durante un viaggio in auto, ed ebbe luogo nel ?70. Vinse Frazier ai punti, piuttosto chiaramente: Alì si era presentato troppo presto davanti a lui. La sconfitta fu però la benvenuta, poiché in questo modo toccò a Frazier di incontrare George Foreman. Inferiore a Frazier come pugile, Foreman era però dotato di una forza spaventosa. Il match fu una pena per Frazier. Dopo aver fatto polpette di alcuni avversari (uno si gettò addirittura a terra pochi secondi dopo il primo gong per non essere colpito), Foreman si ritrovò davanti Alì, che gli propose la sfida. Aveva un amico, disse Alì, un certo Don King, un avanzo di galera ma piuttosto sveglio: l?incontro lo avrebbe organizzato lui. Ci stava? Avrebbero guadagnato un sacco di soldi. Andava bene, che so, Kinshasa? Alì, ormai un simbolo per i neri di tutto il mondo, aveva suoi motivi per disputare l?incontro proprio lì, nel cuore dell?Africa. A Kinshasa ebbe luogo, nel 1974, il più grande incontro di boxe di tutti i tempi. Su ciò che accadde quella notte e nei giorni precedenti esiste una letteratura a parte, probabilmente più voluminosa di quella riguardante il resto della boxe. Alì vinse all?ottavo round, spedendo ko l?uomo che avrebbe dovuto stritolarlo in pochi minuti. Fu un evento sportivo, mediatico (anche se allora non si diceva così) e politico (come si diceva allora) così grande che lo stesso Alì avrebbe potuto rimanerne ucciso. Dopo un trionfo come quello – il cui valore simbolico era cento volte superiore a quello pugilistico, specialmente per i neri d?Africa – cos?altro restava da fare? Eppure, tra alti e bassi, Alì riuscì a perdere e riguadagnare ancora due volte il titolo del mondo, a combattere un memorabile match alla morte con l?amico-rivale Joe Frazier, sconfitto per kot all?ultimo round, e a ritirarsi col titolo sulle spalle. Dopo alcuni anni cedette alla tentazione di tornare, ma l?incontro con Larry Holmes, suo ex-sparring partner, fu un calvario. Sembra siano stati proprio i colpi ricevuti in quell?impresa suicida a procurargli il morbo di Parkinson. Durante una recente intervista – poco prima che, alle Olimpiadi di Atlanta, gli fosse restituito l?oro gettato nel fiume Ohio -, interrogato se non fosse in collera con Dio per la sua malattia, rispose sorridendo che, con tutto quello che Dio gli aveva dato, sarebbe stato da meschini prendersela per una cosa così piccola. Alì ha ricevuto lauree ad honorem, premi di ogni genere, e le sue conferenze-stampa appartengono alla storia dello spettacolo, e secondo qualcuno anche a quella della poesia. Alì è stato sicuramente il più grande personaggio della storia dello sport, poiché più di chiunque altro ha voluto e saputo pensare in grande. Tant?è che continua a essere grande nonostante la sofferenza e l?infermità. Una scommessa da 109 milioni di dollari, circa 125 milioni di euro. Tanto vale la storia di Mohammad Alì che sta per approdare nei cinema europei. A puntare forte sull?ex pugile Usa sono stati soprattutto il protagonista, Will Smith, e il regista quel Michael Mann già direttore di film come Heat e The Insider. Un vero e proprio kolossal dedicato alla storia del peso massimo più famoso al mondo. Dopo una lunga fase di lavoro che ha portato la troupe anche nello stadio di Maputo, in Mozambico, (dove Mann ha riprodotto il mitico match di Kinshasa nel 1974, quando Alì riconquistò il titolo contro l?astro nascente Foreman), il film è uscito negli States l?11 dicembre. Sotto gli occhi di un Alì commosso, che lotta da anni contro il Parkinson, la ?prima? ha riscosso i favori della critica e dei tanti appassionati a stelle e strisce del «labbro di Louisville». In Italia potremo gustarci ?Alì? a febbraio, ma non è stato facile documentare la storia agonistica e le traversie umane del peso massimo che danzava sul ring come una farfalla. La sua storia, infatti, è rimasta nei magazzini degli Studios per molto tempo, fino a quando la Sony, coinvolgendo altre case di produzione europee, ha dato l?ok. Una vera sfida perché, oltre alle sue grandi imprese sportive, l?uomo Alì si è sempre fatto portatore d?idee assai discusse negli Usa, dalla conversione all’Islam sino al suo fermo no alla guerra nel Vietnam. Il film narra i dieci anni cruciali della carriera di The Champ, dagli incontri con Sonny Liston, all?ormai mitica sfida con George Foreman. Amy Pascal, direttrice della casa di produzione, proclama soddisfatta: «è una grande storia di riscatto sociale e credo che, come altre sullo stesso tema, otterrà successo».


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