Famiglia

Il giudice: “Con le scuole in dad impossibile leggere il disagio”

Luca Villa, presidente del Tribunale per i minorenni di Genova, spiega che durante i lockdown, la chiusura di scuole, parrocchie, società sportive ha fatto venir meno le antenne della tutela. E sul futuro dice: "Occorre far ripartire l'affidamento familiare". Ad affido e adozione come risposta al bisogno di accoglienza è dedicato il numero di Vita di febbraio

di Giampaolo Cerri

Luca Villa, milanese, classe 1962 è il presidente del Tribunale per i minorenni di Genova. Un magistrato di lungo corso. Sull’emergenza minori legata al Covid-19, cui è dedicato il numero di febbraio di Vita, in edicola e in libreria nei prossimi giorni, la voce autorevole di chi è impegnato quotidianamente su questa frontiera.

Presidente, sappiamo che la pandemia, in questi due anni, ha di fatto congelato la tutela: i lockdown hanno rinchiuso in casa anche le loro famiglie vulnerabili coi loro problemi. Qual è la situazione ora?

Quello che ho costatato è un aumento delle segnalazioni da settembre 2021. Un dato in qualche modo atteso: era chiaro che la pandemia, coi lockdown totali del 2020 e la prima parte del 2021, con le scuole chiuse e le lezioni in dad, avesse fatto venir meno in particolare una delle principali fonti delle segnalazioni delle situazioni di disagio nei minori, vale a dire la scuola. Senza dimenticare le società sportive, i centri educativi e gli oratori sospesi e, ovviamente, il fatto che gli operatori dei Servizi sociali fossero, almeno nella prima fase in smart working.

E da settembre, quindi?

Da settembre abbiamo assistito a una ripresa importante di segnalazioni legate a una sofferenza psichiatrica di bambini e adolescenti, cui si è unito il fatto di un sistema sanitario, in particolare le neuropsichiatrie e la psicologia dell’età evolutiva, che si è trovato impreparato, per croniche e oramai storiche carenze d’organico, ad affrontare le richieste di aiuto provenienti dalle famiglie e dai Tribunali. La conseguenza sono le lunghe liste di attesa dei consultori e delle neuropsichiatrie e la necessità di affrontare le situazioni più critiche, con interventi talvolta non appropriati, ma soprattutto tardivi, onerosi per la collettività e ormai spesso inefficaci.

C’era stato qualche giorno fa un appello pressante, di Papa Francesco, a “correre il rischio dell’accoglienza” e riscoprire l’adozione.

Mi viene da dire che, forse, al santo Padre non hanno rappresentato del tutto la situazione. In quei termini ci troveremmo innanzi a tante persone non più disponibili all’accoglienza come invece avveniva anni addietro.

Invece?

In realtà vi sono ancora tante famiglie generose ed aperte all’accoglienza e all’esperienza dell’affido, ma alcune hanno cominciato a ritirare la loro disponibilità all’affido dopo le strumentalizzazioni mediatiche di vicende, come quella di Bibbiano. Sono passate, cioè dall’essere elogiate per il loro impegno nell’aiutare un minore, all’essere additate come “ladri di bambini”.

Per l’adozione, invece?

C’è invece un netto calo delle domande ma è una tendenza che si proietta, non solo sulle domande di adozione internazionale, ma anche sugli ingressi. Nel 2004 erano state dichiarate idonee all’adozione internazionale 6.441 coppie (su 8.274 domande), nel 2020 sono state 1.331 su 1.900 domande, con una diminuzione quasi dell80%.

Quali sono i motivi?

Ci sono vari fattori, compresa la denatalità, ma sono calati anche i minori dichiarati adottabili in Italia. Si è passati da 1.222 dichiarati adottabili nel 2014 agli 837 del 2020 e vi è stato un assai rilevante calo dei parti “in anonimato”, passati dai 642 del 2007 ai 182 del 2020: un calo del 72%.

Per le adozioni internazionali, invece?

Qui la flessione ha motivi diversi, a volte veri, a volte percepiti: si parla spesso, ad esempio, della “eccessiva burocrazia” e dei suoi tempi ma, per la parte che riguarda i Tribunali, un’idoneità si ottiene mediamente in un anno, ovvero poco più di una gravidanza: il tempo utile per la coppia per calarsi nella nuova prospettiva. C’è poi il tema dei costi e quello dei tempi dell’abbinamento all’Estero. Lo si vede dal drastico calo nel rapporto tra dichiarazioni di idoneità e ingressi effettivi. Senza considerare il 2020, vi sono stati solamente 533 ingressi di minori adottati all’Estero, ma le coppie si sono trovate anche di fronte ai blocchi agli spostamenti imposti dai vari Paesi

In termini statistici, qual è la maggiore evidenza su quest’area?

Nel 2019, anno “pre-lockdown”, gli ingressi erano stati 1.033, mentre nel 2009 erano stati 3.387. In sintesi mentre, nel 2009, una coppia su tre rinunciava poi all’adozione internazionale, ora vi rinuncia una copia su due. Hanno pesato talvolta costi e tempi, a seconda del Paese individuato e delle regole che ha impostato, anche in termini di permanenza in loco dei genitori adottivi.

Ci sono altri fattori che hanno contribuito?

Sicuramente ha inciso l’affermarsi della procreazione medicalmente assistita, alla quale molte coppie, impossibilitate ad avere figli, si sono rivolte.

E, alla fine, anche la crisi economica, che ci ha attanaglia dal 2009, ha certamente inciso: è forse su questo fronte, e non sulla burocrazia e sui tempi, che si può intervenire con ulteriore misure di sostegno. Come si vede, ragioni ben diverse da un calo della disponibilità, tant’è che assai più modesto è il calo della disponibilità all’adozione nazionale

Come si può ripartire, presidente?

Forse con la leva dell’affido, più che con quella dell’adozione: affido da rilanciare, da potenziare, da tutelare. Anche perché, non bisogna dimenticarlo, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo-Cedu e la Corte di Cassazione hanno emesso alcune sentenze, negli ultimi anni, che mettono fortemente in discussione quel concetto di “abbandono morale del minore”, che sta alla base della nostra adozione legittimante. Si tratta pressoché di un unicum in Europa e poco compreso negli altri Stati, che dichiarano adottabili solo i minori abbandonati materialmente dai genitori.

Sentenze che incidono nelle vostre decisioni…

Certamente, i tribunali devono recepire questi orientamenti giurisprudenziali, anche per evitare alla coppia e al minore di vedere annullata la dichiarazione di adottabilità, magari a notevole distanza di tempo, quando ormai si era radicato un legame di filiazione esclusivo. Ormai sono sempre più diffuse le pronunce di adozione “in casi particolari” o di adozioni aperte.

Qualcono le chiama anche “adozioni miti”. Ricordiamole..

Sono quelle in cui, comunque, la famiglia adottiva deve intraprendere, e deve essere preparata, a un percorso, particolare e anche gravoso, dove ci si deve occupare di mantenere un rapporto con un “pezzo” della famiglia di origine: un fratello, uno zio, un familiare. Un bambino adottato ma che dovrà sviluppare una sorta di doppia appartenenza, con la famiglia adottiva e verso alcuni componenti di quella d’origine.

Non semplice, per voi giudici minorili

È un punto di equilibrio difficile da individuare per i Tribunali per i minorenni e difficile da comprendere e accettare da parte del minore, della famiglia adottiva e della famiglia di origine. Un punto nel quale non si possono scegliere soluzioni che hanno come principale e reale scopo la tenuta processuale della sentenza.

Foto di Compare Fibre su Unsplash

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