Volontariato

Il giubileo dei Rom deportati e offesi

A Roma, nell’anno Santo, gli zingari vengono assaliti dalla polizia. I volontari accusano

di Barbara Fabiani

Via Carucci è un posto sperduto a ridosso del raccordo anulare, e sta proprio alle spalle della nuova sede amministrativa del Ministero delle Finanze dove ogni giorno si computano i proventi miliardari di lotterie e giochi di uno Stato allegro. Dentro a un recinto di un paio di centinaia di metri quadrati sono state ammassate sei roulotte fatiscenti, un solo bagno chimico e una cisterna per l?acqua. Quando vanno a fare rifornimento con il secchio e la bottiglia, i rom possono ammirare a poche decine di metri sventolare alti i vessilli italiano ed europeo sullo sfondo delle vetrate ministeriali. Gli abitanti del nuovo campo recintato sono già ?evasi? facendo un buco nella rete e hanno allestito nel circostante terreno incolto un fuoco e una griglia su cui cuoce della carne di pecora; l?animale è stato ucciso lì questa mattina. Le roulotte, un paio di macchine e gli abitanti, tutto è ricoperto di polvere giallastra e sporca che si solleva dal terreno a ogni passo. I bambini hanno già preso la congiuntivite e la mattina si svegliano piangendo perché non riescono ad aprire gli occhi incollati dall?infezione.
«Ci hanno svegliato a strattoni e prendendo a calci le roulotte» , racconta Susanna, una giovane donna rom circondata dai suoi figli che ricorda la terribile notte del 5 marzo scorso. «Alcuni avevano il passamontagna e la mitraglietta. Io non riuscivo a capire chi fossero. Poi ho letto la scritta ?Polizia? sulle giacche». Susanna trema ancora, «I bambini piangevano, qualcuno di loro ha vomitato la notte e anche il giorno dopo». Sabina, interviene e aggiunge: «Non ci hanno fatto prendere nulla delle nostre cose. C?erano le ruspe che buttavano giù tutto». Quella notte al campo nomadi di Tor de? Cenci si è abbattuta una tempesta di agenti delle forze dell?ordine, di agenti di polizia municipale, funzionari del Comune di Roma, consulenti di Rutelli. Al loro passaggio le famiglie sono state separate, gli oggetti e gli abiti delle persone sono finiti mischiati nel terreno fangoso sospesi dalle ruspe. I 120 abitanti del campo hanno passato una giornata in diversi posti di polizia. «Io non sapevo dove fosse finito mio figlio», ricorda Farid, «nessuno mi diceva dove lo avevano portato. Dopo quasi un giorno che eravamo lì senza nulla da mangiare un poliziotto che controllava i documenti ha detto : ?Per me è tutto a posto, potete andare?. Dove ? gli ho chiesto. ?Non mi interessa. Per me è tutto a posto? . Mi sono sentito preso in giro». Conclude Farid alzando le braccia.
Farid, Susanna, Sabina e i loro figli sono alcune dei 100 rom che la notte del 3 marzo scorso sono stati letteralmente assaliti e deportati. Ma si sentono dei fortunati. La sera successiva allo sgombero, infatti, 82 persone sono state rilasciate ma nessuno sapeva cosa fosse successo agli altri. Mancavano all?appello 32 persone tra cui 20 minorenni, compresa una ragazza di 16 anni con il suo neonato di appena 15 giorni e anche una donna al quinto mese di gravidanza. Poche ore dopo si è saputo che erano stati espulsi per direttissima in Bosnia insieme ad altri 24 rom prelevati quella stessa notte dal Casilino 700 con gli stessi metodi. Tra i minorenni sono stati ?rimpatriati? o ?deportati? in Bosnia anche 15 bambini che sono nati e vissuti da sempre a Roma.
«Poco tempo fa il Comune aveva fatto loro una proposta che avevano accettato», spiega Paolo Perrini, un operatore dell?Arci solidarietà del Lazio. «Avrebbero ampliato l?area e portato dei container al posto delle roulotte. In cambio questa comunità avrebbe condiviso il campo con altri 100 nomadi provenienti dal Casilino 700. Ma invece di una procedura amministrativa è arrivata un?operazione di polizia», conclude Perrini.

La paura di Farid
In Via Carucci le roulotte fornite dalla protezione civile sono veri rottami risparmiati da chissà quale altra baraccopoli sfollata. «Non c?è giorno che la polizia non venga a prendere qualcuno e lo porti via per accertamenti», dice Farid. «E ogni volta abbiamo paura che non torni».
Il nuovo campo non è neanche abbastanza grande per tutti. L?amministrazione ha suggerito a chi è restato fuori di andare al Casilino 700 ! Naturalmente nessuno lo fa.
Qualcuno ha trovato rifugio in un Centro sociale, si chiama Lab 00128. Era un garage abbandonato, incastonato tra file di palazzi nel quartiere dormitorio di Spinaceto, all?estrema periferia sud di Roma. Dal 1992 è l?unico posto di aggregazione sociale e giovanile di questa zona dove i soli locali aperti sono i negozi di 7 piccoli centri commerciali, negozietti esangui molti dei quali chiudono dopo il primo anno di gestione. Sulla soglia del centro sociale ad accoglierti c?è un mago, il protagonista di un murales, che fa uscire dal cappello la scritta ?Lab 00128?. Ma la vera magia è stata quella di riuscire a trovare il modo di ospitare qui 5 donne e 15 minorenni. Di giorno vivono al piano superiore dove c?è un piccolo locale tappezzato di avvisi e manifesti; gli operatori sociali e gli studenti di passaggio mangiano con loro panini comprati facendo una colletta e qualche ragazza aiuta a tenere sott?occhio i più piccoli che scorrazzano su e giù per le rampe del centro sociale. La sera ci si sposta ai locali del piano interrato: due alti stanzoni con due minuscole finestre, d?altro canto questo posto era stato pensato per ospitare automobili non persone. Le donne e i bambini dormono su dei tappeti e qualche materasso, e qui sono custodite in buste di plastica le poche cose salvate dalle ruspe la notte del 3 marzo; un Che Guevara dipinto alla parete veglia sulle loro notti. I rom si sono adattati anche perché chi frequenta il centro sociale ha fatto sentire la sua solidarietà comprando i pannolini per i più piccoli, regalando dei vestiti e portando coperte.
Una sorta di calore familiare è garantito dal rapporto con gli operatori sociali, una ragazzina rom di una quindicina d?anni scherza. Ma da molti particolari, soprattutto dagli sguardi abbassati e dai mezzi silenzi quando ricordano le persone espulse, si capisce il dolore di famiglie spezzate, la mancanza dei propri parenti si fa sentire. Cinque donne e 15 bambini: vicino a loro gli operatori che seguono le loro vicende da anni. Amina continua a ripetere: «Vivo in Italia da quando sono bambina e non ci avevano mai trattato così». E agita forte le mani per convincere chi l?ascolta che la separazione da sua madre e dal suocero, che sono al nuovo campo, l?angoscia seriamente perché non si è mai allontanata dalla famiglia, nessun rom si allontana dai propri familiari. «Non so più dove sono mio zio e i miei cugini», aggiunge Amina. «Li hanno portati in Bosnia, ma lì è molto pericoloso. Mio marito? Non è partito, ha il permesso di soggiorno, ma finché non troviamo un posto per tutta la famiglia lui vive in macchina».

Il destino di ?Serbo?
Lo sconquasso che ha causato questa operazione di polizia in pieno anno giubilare ha lasciato i segni sugli operatori e le associazioni. «Da 8 anni il Comune di Roma mi paga perché mi occupi della scolarizzazione dei bambini rom del campo di Tor de? Cenci», spiega con una certa concitazione Perrini, «Per tutto questo tempo io e altri come me abbiamo lavorato per convincere i genitori di questi ragazzi a mandarli a scuola. Ci eravamo riusciti, ma oggi 8 di questi bambini iscritti nelle nostre scuole sono in Bosnia! L?XI Ripartizione per le politiche educative spende soldi per fare qualcosa che un altro ufficio comunale viene a distruggere. Se non fosse drammatico sarebbe ridicolo». Ma la realtà è davvero drammatica, per tutti, soprattutto per i bambini, anche quelli rimasti in Italia, perché i genitori non li lasciano andare più a scuola: hanno paura di essere trasferiti all?improvviso mentre i ragazzi non ci sono, e di non vederli mai più. Succede a Roma.
«Mi fa rabbia pensare a quello che hanno fatto a ?Serbo?», ripete Perrini, che in tutta questa vicenda non ha smesso per una sola ora di stare insieme ai rom. ?Serbo? è il soprannome di un ragazzino di 14 anni nato a Parigi e poi vissuto sempre a Roma. I genitori lo hanno abbandonato e viveva con la nonna. «Abbiamo lavorato tanto con questo ragazzo: frequentava la scuola media con profitto, andava a giocare a casa dei suoi amici italiani ed era iscritto tra i giovani sportivi delle Fiamme gialle. Un esempio magnifico di integrazione che ci faceva fare passi avanti anche con gli altri. Adesso anche lui è stato espulso insieme alla nonna e mandato in una nazione per lui sconosciuta, in una situazione di post conflitto, in un posto pericoloso per i rom. Oggi, noi cosa diremo per incoraggiare gli altri a studiare e a integrarsi».
Come stiano i 56 rom deportati in Bosnia sulle montagne al confine con la Serbia, lo racconta una lettera di un operatore dell?Ics a Sarajevo, Hot Skender, ai suoi amici italiani. Skender sta seguendo da vicino il gruppo più consistente tra i rom scacciati: sono 30 e attualmente si sono rifugiati presso la casa di un parente di uno di loro a Kladanj. Tra loro un neonato e tre minorenni separati dai genitori rimasti in Italia. Così, mentre la forza multinazionale in Bosnia, fatica a mettere pacificamente in rapporto le diverse comunità etniche e l?Onu fa un gran parlare di rientro assistito degli sfollati, l?Italia, irresponsabilmente, spedisce in quel territorio 56 bosniaci mussulmani, per giunta zingari. Ma che per i nostri politici sono solo, più banalmente, clandestini. Inoltre, come prevedibile, 29 di questi si sono diretti nella loro città di origine Vlasenica che oggi, dopo gli accordi di Dayton, è nella Repubblica Serba. Volevano rientrare nelle case che avevano lasciato prima della guerra e che oggi sono occupate da cittadini serbi anch?essi ex sfollati, inutile dire che tipo di accoglienza hanno ricevuto.
«Caro Claudio, ti invio le necessità del gruppo di rom che è stato deportato da Roma. Cibo: finora si sono fatti prestare denaro dai conoscenti rom che già stavano lì. La situazione è comunque molto dura per tutti e ben presto il denaro si esaurirà. Tenete conto che un problema specifico è quello del cibo per i bambini più piccoli. Vestiti: i 30 espulsi hanno solo i vestiti con i quali sono partiti da Roma. Indossano così vestiti adatti per Roma in marzo. A Kladanj invece adesso cade la neve. Igiene: dove si trovano adesso non ho visto un bagno o un luogo in cui poter lavarsi e lavare le proprie cose. Non hanno la possibilità di comprare prodotti per l?igiene personale. C?è inoltre il problema delle medicine. È assolutamente necessario comprare medicine per i più piccoli che hanno l?influenza. È molto importante anche poter acquistare legna per riscaldarsi. Dateci una mano, ciao».

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