Welfare

Il giro di vite di Brunettamette a rischiogli assistenti sociali

il caso Le conseguenze del taglio alle consulenze negli enti locali

di Redazione

Come emerge però dalla lettura degli elenchi (si veda il box a fianco) degli incarichi affidati dai Comuni e pubblicato sul sito del ministero per la Pubblica amministrazione e l’Innovazione, senza gli incarichi di collaborazione agli assistenti sociali, un bel po’ di ripartizioni sociali dei Comuni rischierebbero di chiudere i battenti. E sì, perché i Comuni – ma non è una novità – in alcuni casi non hanno nemmeno un assistente sociale nei loro organici, affidandosi invece a consulenti esterni. Il punto è che il personale esterno, pur ricoprendo un ruolo delicatissimo, formalmente, svolge una delle più classiche e, appunto, «ordinarie» funzioni istituzionali delle municipalità: il servizio sociale professionale, l’attività cioè di informazione, orientamento e consulenza rivolta a minori, anziani, famiglie disagiate, ragazze madri, stranieri ecc.
«C’è il pericolo che i Comuni si ritrovino nell’impossibilità di assicurare una serie di compiti che attualmente riescono a garantire solo grazie ai professionisti a contratto», sottolinea Franca Dente, presidente dell’Ordine nazionale degli assistenti sociali. Un pericolo che al Sud e nei piccoli Comuni, dove spesso non c’è neanche un assistente sociale di ruolo, potrebbe diventare emergenza.
Sulla stessa linea d’onda è Franco Pesaresi, presidente dell’Anoss – Associazione nazionale operatori sociali e sociosanitari e dirigente del settore Servizi sociali del Comune di Ancona, che punta il dito anche contro un’altra norma della manovra, l’articolo 49, in base al quale le amministrazioni non potranno ricorrere all’utilizzo del medesimo lavoratore con più tipologie contrattuali (in questo caso si tratta però di lavoro subordinato e non autonomo come per i consulenti e i collaboratori) per periodi di servizio superiori al triennio nell’arco dell’ultimo quinquennio.
«I Comuni», osserva Pesaresi, «non solo non potranno reclutare collaboratori ma non potranno nemmeno confermare il personale che già hanno e che hanno contribuito a formare».
La nuova manovra, invece, corregge la precedente Finanziaria prevedendo che le amministrazioni potranno affidare consulenze o collaborazioni prescindendo dal requisito della «comprovata specializzazione universitaria» nel caso di stipulazione di contratti d’opera per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi. Nella maggior parte dei casi il ricorso agli esterni è solo un modo per far fronte da un lato, al blocco delle assunzioni e, dall’altro, alle nuove competenze assegnate ai servizi sociali dei Comuni. Basti pensare all’elaborazione dei Piani sociali di zona o ai vari strumenti di cura e assistenza (ad esempio per i non autosufficienti) messi in cantiere dalle Regioni e gestiti dalle municipalità.
«Temiamo che i Comuni esternalizzino completamente il servizio sociale professionale alle cooperative sociali: un servizio, va ricordato, che rientra fra i livelli essenziali della 328. Chi garantirà e chi verificherà la qualità degli interventi?», si chiede la responsabile degli assistenti sociali.
Ma la soluzione potrebbe essere dietro l’angolo. E sarebbe la più italiana delle soluzioni. I Comuni, con uno sforzo di immaginazione, trasformeranno l’oggetto della prestazione da ordinaria in speciale: il compito richiesto all’assistente sociale sarà delineato in modo così particolare da renderlo indispensabile. Del resto, ricorda Pesaresi, già ora alcuni Comuni prevedono negli appalti affidati alle cooperative una figura di assistente sociale che, formalmente, lavora per la cooperativa, di fatto per il Comune.

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