Vago per l’Emilia Romagna a parlare di reti per l’inserimento lavorativo di persone con disabilità. L’esordio modenese non un gran che. Durante il dibattito si è messo pure a nevicare! Lavorare in rete va bene, ma non ora. Non in tempo di crisi, non c’è tempo da perdere e non ci sono risorse. Oppure: ci abbiamo provato, ma siamo rimasti ai preliminari: conoscenza reciproca, qualche passo in avanti, ma poi… Arenati nella lettura dei bisogni. O a scannarsi sull’architettura organizzativa, sui ruoli, sul chi fa cosa. E, naturalmente, sull’esercizio del potere. Anticamera dell’autoreferenzialità, prima ancora di produrre una qualsiasi attività, output, servizio. Rivaluto le reti gerarchiche e temporanee. Con effetto di trascinamento e incentrate su obiettivi chiari e definiti. E neanche troppo complessi. Ad esempio mi dicono che nel rapporto con le imprese i funzionari dei servizi per l’impiego non sono in grado di dire cosa la persona con disabilità sa fare, mentre sono pieni di certezze rispetto a quello che non sa fare. Chiaro che, su queste basi conoscitive, è davvero difficile fare “collocamento mirato”. Ma è così complicato mettersi intorno al famoso “tavolo” per definire un minimo di procedura e di strumentazione utile a raccogliere anche queste informazioni? Scommettiamo che su questo le reti funzionano anche in momenti difficili? E ancora: grossa lamentazione in sala perché Hera, la super-municipalizzata quotata in borsa, non è più di tanto sensibile alla creazione di occasioni di lavoro e di inserimento per le persone disabili. Certo è un problema, ma piccola domanda: chi è il proprietario di Hera? Non sono forse gli enti locali? E allora facciamo in modo che nella governance della tecnostruttura si agiscano anche strategie di socialità (altrimenti bruceremo in piazza le cataste di bilanci sociali che immancabilmente ci vengono propinati). Domani Reggio Emilia (tempo in ripresa pare).
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