Cultura
Il giovane Holden la vita ridotta a foruncolo
Luca Doninelli, scrittore, mette nel mirino uno dei testi mitici per tante generazioni.
L’unica cosa che ho amato del Giovane Holden è la sua copertina». Luca Doninelli, scrittore, critico teatrale per Avvenire, professore di liceo, ricorda ancora l’impatto di novità di quella copertina, con riquadro bianco su fondo bianco, nessuna nota sui risvolti, che in Italia venne pubblicata da Einaudi. Un alone di mistero congegnato all’interno di una perfetta logica di marketing: non per nulla la leggenda su David Salinger, l’autore di questo mitico best seller generazionale, si è perpetuata sino a questi giorni con la polemica biografia della figlia Margaret, pubblicata in Italia da Bompiani («L’ultimo anello di quella perfetta strategia pubblicitaria», suggerisce Doninelli).
Ma quel riquadro bianco più che rievocare una densità misteriosa come nelle celebri tele di Malevitch, era il sintomo di un’afonia. Di un vuoto, svuotato anche di ogni inflessione drammatica. Il mito di Salinger, battezzato da quella copertina vuota, esplose proprio nell’estate di 50 anni. Un mito che permette oggi al fortunato editore italiano di parlare, nella nota sulla traduzione, di un personaggio che ormai è “l’eroe eponimo di tutta una generazione”.
Vita: A quando la prima lettura de Il giovane Holden?
Luca Doninelli: Avrò avuto 20 anni. Mi aveva attirato la copertina e il gran parlare del libro. Ma l’impressione di allora non è molto diversa da quella di oggi. Non ho mai subito il fascino di Holden.
Vita: In cosa consiste questo fascino?
Doninelli: Bella domanda. Me la sono posta tante volte e non l’ho mai capito. Da qualsiasi parte prendessi il libro, mi è sempre sembrato un’apologia della mediocrità. Il libro è freddo, calcolato, finto. Intessuto di piccole manie. Però mi sono fatto un’idea del perché del suo successo: perché si è rivolto a una categoria di lettori privi di ironia, gli adolescenti, che hanno preso sul serio una storia fatta per non essere presa sul serio. Holden è un romanzo di “viaggio”, in questo fedele a un filone che andava forte nell’America di quei decenni. Ma con lui il viaggio perde ogni alone mitico, è il viaggio sul treno locale dove incontra la mamma di un suo ex compagno di scuola, o un viaggio in taxi a tariffa economica. Nulla a che vedere con i miti, per quanto consunti, della beat generation. Loro andavano, partivano sul serio; mettevano sul piatto della storia tutta la disperazione di una generazione.
Vita: Eppure Il giovane Holden è un libro generazionale ancor più di tanti libri della beat generation. Anzi, quelli appaiono un po’ datati e questo sembra godere di un’eterna attualità…
Doninelli: Questo è il punto che più mi inquieta e mi indigna. Holden è un poveraccio, anzi è l’apologia dell’essere poveraccio. E se l’impeto ribellistico di tanta letteratura americana sembra riguardare un passato, che per quanto affascinante è passato, quest’orizzonte di mediocrità in cui nuota Holden sembra non passare mai. La sua storia è fatta di tanti gesti inutili, senza nessun fascino. La sua giornata ci sfinisce per le tante futilità da cui è scandita. è come se si fosse cristallizzato in quella fase adolescenziale in cui il corpo cambia, l’impaccio caratterizza ogni gesto. è un momento della vita bellissimo, ma proprio perché è una transizione, è un passaggio verso una condizione a cui si guarda con un po’ di tremore e di timore. Si esce da una condizione protetta e si va verso il mondo. Ma è un passaggio: invece Salinger ne fa una condizione definitiva. Blocca l’orologio della crescita. Del resto lo stesso nome del protagonista è un programma…
Vita: In che senso?
Doninelli: Holden si chiama Caulfield. Field, che vuol dire campo, è lo stesso suffisso di David Copperfield, con la cui evocazione si inizia il racconto (un’evocazione tutt’altro che entusiasmante: «quelle bagginate alla David Copperfield», dice Holden). Il prefisso Caul invece significa “amnio”, cioé la camicina che riveste il nascituro. Il calore del grembo materno, la voglia di farvi ritorno: un desiderio impossibile, ma che non contiene nessuna disperazione. è semplicemente modesto, perché Il giovane Holden è il romanzo degli eterni bambini. Di quelli che non sanno vincere il problema del primo foruncolo che gli spunta sul volto.
Vita:Forse perché non ha nessuno che lo aiuti a crescere…
Doninelli: Sì, e forse questo è la prospettiva più interessante del libro. Holden è un bravo ragazzo nell’America degli anni 50. Non ha nulla di particolare che possa farne un eroe. Non ha molta voglia di studiare, viene bocciato, e prima che la comunicazione arrivi ai genitori decide di andarsene dal college e di vivere qualche giorno nella vicina New York da solo. Ci sono tutte le premesse per un tipico rito di passaggio: Holden dovrebbe salpare verso la maturità. Invece non combina niente di particolare, la sua vita continua del tutto simile a quella precedente, l’orizzonte dei problemi è quello di prima: un orizzonte di assoluta modestia. Commette né più né meno le stesse stupidaggini che commetteva prima. Insomma, l’occasione della fuga non genera nessuna crescita. E questo perché non trova sulla sua strada nessuno che gli indichi cosa significhi diventare uomini. Se si vuole trovare qualcosa di interessante nel romanzo è proprio questo mutismo del mondo adulto. Holden continua a essere il bambino di sempre perché non ha maestri, non ha davanti a sé una via per crescere.
Vita: è strano che l’America, che in questo secolo ha svegliato l’Europa con tante esperienze culturali estreme, abbia poi incontrato tanto successo con questo eroe al cloroformio…
Doninelli: In effetti io continuo a esser certo che il genio di quell’America anni 50 sia Jackson Pollock. Si potrebbe anche fare un paragone con Salinger, perché gli inutili ghirigori mentali di Holden, quelli prodotti dalla sua mente distratta e assopita, rimandano a ghirigori di ben altra potenza simbolica. Sono quelli delle grandi tele astratte di Pollock, dove però il girare a vuoto assume la forma del labirinto. L’ansia della rappresentazione del mondo, infatti, non lascia più il tempo per uno sguardo o per un pensiero, ma diventa solo un problema di azione. Ma la potenza anarchica di Pollock davvero non ha nulla a che vedere con il patetico armamentario mentale di Salinger-Holden.
Vita: E sul piano della scrittura Salinger non ha fatto scuola, con quel suo stile diaristico, elementare, da monologo interiore?
Doninelli: Certamente ha fatto scuola, ma è un’altra colpa di cui questo libro si è macchiato. Io detesto questa scrittura che non rischia niente. Trovo che il precedente più illustre di Salinger, in questo senso, sia Scott Fitzgerald. è una scrittura che attinge dalla fantasia ma non ha mai nulla di visionario. E il discrimine tra fantasia e visionarietà è un discrimine che separa la vera letteratura dalla fasulla. La fantasia inserisce nel testo degli elementi che hanno sempre un valore opinabile: quella finestra, quella coperta, quel vestito potrebbero essere come li ha descritti l’autore, ma potrebbero essere anche diversi e non cambierebbe nulla. Invece la visionarietà fissa delle situazioni in modo definitivo. Faccio un esempio: la spilla nei capelli della Lucia manzoniana è frutto della fantasia dello scrittore, ma ha una forza visionaria perché nessuno può pensare che non davvero fosse così. Al contrario, nella scrittura alla Salinger vige una casualità irritante.
Vita:Per concludere, non farebbe mai leggere il libro a un ragazzo…
Doninelli: Di sicuro non lo suggerirò mai come lettura. Anche perché l’immagine di gioventù che ne viene mi farebbe vergognare un po’ a proporla. Holden è un poveraccio, ma volendo essere l’emblema di una generazione fa di tutti i giovani dei poveracci. E di fronte a tipi umani così, quale sentimento può provare un adulto se non la bonarietà? Siamo indotti a provare una pena non detta, che si traduce in atteggiamenti di generosità, di buon cuore. L’assioma di Holden è questo: i giovani galleggiano nella mediocrità, gli adulti accettano lo stato delle cose ed escono di scena. Come prospettiva non è entusiasmante nella vita, figuriamoci nella letteratura…
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.